Giornate centrali alla Festa del Cinema di Roma 2021, anche queste segnate da numerose proiezioni, sia per quanto riguarda la selezione ufficiale che le retrospettive.
Per quanto riguarda queste ultime, citiamo quella dedicata ad Arthur Penn, che continua alla Casa del Cinema di Roma, e la proiezione di C’eravamo tanto amati di Ettore Scola nella sede centrale della manifestazione: l’Auditorium Parco della Musica.
Lunedì 18 ottobre c’è stato l’incontro ravvicinato con il nostrano Marco Bellocchio, che ha presentato in anteprima mondiale alcune scene della sua serie tv su Aldo Moro, Esterno Notte, mentre mercoledì 20 è stata la volta del messicano Alfonso Cuarón, regista, fra gli altri, di Roma e Gravity.
L’attenzione del pubblico e della stampa, però, è stata tutta per lui: Quentin Tarantino, insignito del Premio alla Carriera martedì 19, laconico su alcune delle domande dei giornalisti, oppure serio e dettagliato, ironico su altre risposte (come quella relativa ai Big Kahuna Burger e alle altre marche, fittizie, dei suoi film), ma, come sempre, sopra le righe (come quelle della camicia grigia e nera che indossava in conferenza stampa).
«Ho preso lezioni di recitazione per un periodo e non solo amavo molto di più i film degli altri ragazzi della classe, ne sapevo molto di più sui film degli altri ragazzi della classe, decisamente…Amavo troppo il cinema per poter essere un attore, non volevo semplicemente apparire in un film, ma volevo dar vita ai film che avevo nella mia mente» rivela dal palco della sala Sinopoli, mentre spiega come da giovane si è accostato alla settima arte.
«A volte scrivo per un attore, oppure no, dipende semplicemente dal rapporto che si instaura tra me e la carta. A volte funziona meglio se scrivo pensando ad un attore che conosco, ma, per esempio, Hans Landa (Bastardi senza gloria, ndr) non sarebbe stato lo stesso se avessi pensato a qualcuno in particolare; sapevo solo che doveva avere questa cosa della genialità linguistica…poi, per caso, sono capitato su Cristoph Waltz ed era l’uomo giusto, il poliglotta! Un esempio contrario è stato il suo ruolo in Django, oppure per Samuel L. Jackson…» dice citando due dei suoi attori “feticci” che, durante la premiazione, gli fanno una sorpresa con un videomessaggio, insieme anche a John Travolta, nel quale si complimentano con lui per il premio ricevuto.
Premio che il regista riceve da un altro spirito ribelle: il regista Dario Argento, che si dice commosso di consegnargli questo riconoscimento, prima che i due si lascino andare ad un compito abbraccio.
Tarantino dedica, per altro, molte parole ad un altro grande nome del cinema italiano: Ennio Morricone, che definisce il suo compositore preferito, «un gigante autentico», raccontando, in maniera commossa, di quando era venuto a Roma per chiedergli di scrivere la colonna sonora di The Hateful Eight.
Premiazione di Tarantino a parte, ecco alcune delle pellicole che abbiamo visionato nel corso di questi tre giorni alla Festa del Cinema di Roma 2021:
Promises, di Amanda Sthers
Roberta: Una rara edizione de Alla Ricerca del Tempo Perduto di Proust trovata nella casa di un anziano signore dal mercante di libri Alexander (Pierfrancesco Favino); questa la scena con cui si apre il film e questa l’opera che fornisce la chiave di lettura della vita dell’uomo, di cui seguiamo le alterne vicende dall’infanzia alla vecchiaia, in un continuo di flashback e flashforward. Un uomo la cui esistenza è divisa fra Italia ed Inghilterra, tra i fantasmi della sua giovinezza e il desiderio di un presente diverso, che sembra concretizzarsi nell’incontro con la gallerista Laura. Un colpo di fulmine che travolge tutto e che, però, arriva al momento sbagliato. Ma esiste forse un momento giusto? Sembra di no per loro, così Alexander attraversa quel che resta della sua esistenza con un sentimento che lo divora. Perché un amore mai vissuto è un amore che non potrà mai morire. Amanda Sthers firma e dirige questa storia di mancanza e di rimpianti che, nonostante i temi affrontati, non risulta né esageratamente struggente, né eccessivamente sdolcinata, regalando, anzi, qualche momento comico, soprattutto nel rapporto del protagonista con i suoi due amici di sempre, a riprova che si possono fare film drammatici senza per forza essere strappalacrime. La ripresa a mano non sempre piacevole e la “vaghezza” del contesto londinese sono due piccoli punti a sfavore. Il maggiore sta probabilmente nel mancato approfondimento dell’ambigua relazione fra il protagonista e Laura, cui, complessivamente, è dato poco tempo sullo schermo con dialoghi abbastanza scarni. ★★☆☆☆
Charlotte, di Eric Warin e Tahir Rana
Roberta: Piccolo gioiello di animazione che racconta la storia vera di Charlotte Salomon, giovane pittrice ebrea tedesca vissuta durante la Seconda Guerra Mondiale. La protagonista nella versione inglese ha la voce di Keira Knightley, la quale, insieme a Marion Cotilliard ha prodotto il film. La dolcezza del tratto ed i colori caldi dei disegni danno alle tristi vicende che hanno caratterizzato l’esistenza di quest’artista la parvenza di una fiaba. In effetti, l’elemento magico è presente: si tratta dei fogli, delle tempere, dei pennelli grazie ai quali Charlotte si libera di tutti i dolori che la vita le ha inferto e dell’orrore che la circonda. Un’opera monumentale di 1325 fogli dall’emblematico titolo “Vita? o Teatro?”, realizzata in soli due anni tra il 1940 e il 1942 e da molti ritenuta il primo esempio di graphic novel, che vale la pena riscoprire insieme a questo film, il quale ha l’importante merito di far conoscere una figura ignota ai più, una giovane donna dotata di un gran talento e di un indomito coraggio. ★★★★☆
One Second, di Zhang Yimou
Riccardo: Il film venne escluso all’ultimo minuto dalla Berlinale 2019, pare per un repentino attacco di censura da parte del governo cinese, e la distribuzione fu sospesa completamente. Ma, come si suol dire, tutte le strade portano a Roma e oggi la pellicola dell’autore cinese Yimou Zhang trova i suoi applausi proprio nell’emozionato pubblico della Festa del Cinema. Il film possiede due anime ben distinte, ma intersecate. Una più toccante, melancolica, dolcissima e metacinematografica, si concentra sull’odisseico percorso di un padre che attraversa ventosi deserti per assistere alla proiezione di un cinegiornale in cui compare la figlia per un brevissimo, ma intenso, secondo. L’anima più socio-politica, invece, risulta appena abbozzata e poco convincente. Non regge il paragone con film nostalgici come Splendor (Ettore Scola, 1989) o Nuovo Cinema Paradiso (Giuseppe Tornatore, 1988), ma tratteggia con gusto nostalgico un periodo storico di grandi incertezze e contraddizioni, la cui risoluzione totale va individuata nella magia del cinema. ★★★☆☆
Petite maman, di Céline Sciamma
Riccardo: Sono pochi i film che riescono a scaldare il cuore e a penetrare nelle viscere con la loro semplicità e limpidezza. Presentata nella sezione parallela della Festa Alice Nella Città, la pellicola è la prova ultima che, anche con una colonna sonora semi inesistente, con pochi – ma centrati – dialoghi e una durata stringatissima di appena 70 minuti, è ancora possibile fare dell’originale e toccante cinema. Dopo l’acclamato Ritratto Della Giovane In Fiamme nessuno si sarebbe aspettato un altro (piccolo) capolavoro da parte di Céline Sciamma. A metà tra Agnés Varda, Éric Rohmer e Alice Rohrwacher, Petite Maman sfrutta il realismo magico per un inaspettato viaggio nel tempo e nella memoria, facendoci realizzare quanto le persone, i luoghi e gli oggetti trattengano parte della nostra coscienza e ci formino come persone, che ci vada bene o no. Particolarmente apprezzato il montaggio che, con un paio di guizzi assolutamente geniali, riesce a fondere le duplici identità temporali della pellicola. ★★★★☆
E voi, che film avete visto in queste tre giornate? Siete d’accordo con le nostre recensioni? Fatecelo sapere in un commento!