Abbiamo già parlato di Death Note in un altro articolo (se ancora non lo hai letto puoi farlo cliccando qui) ma la serie ha così tanto da dire che ho ritenuto fosse il caso di approfondire la vicenda attraverso l’analisi della psicologia di uno dei suoi personaggi principali e probabilmente uno dei più controversi dell’intero panorama anime. Mi riferisco ovviamente al protagonista Light Yagami.
SPOILER ALLERT: –Devo
avvisarti che per continuare nella lettura dovresti aver visto fino in fondo la
serie in questione, poiché parlerò apertamente della trama e di tutto ciò che
succede. Non voglio macchiarmi del crimine di spoiler!
Se sai già come va a finire, allora sei dei nostri e puoi leggere
tranquillamente. Buona lettura!-
Chi è Light Yagami?
Light Yagami ci viene presentato immediatamente come un ragazzo modello.
Bravo a scuola, adorato dai genitori e dalla sorellina, impeccabile con le ragazze, forse leggermente asociale si, ma per scelta. Perché principalmente lui è un ragazzo annoiato.
Da cosa? Dalla vita.
E questo non gli deriva dal sentirsi depresso, non capito, privo di emozioni o affranto dai tanti problemi dell’adolescenza (non si direbbe mai, ma sulla carta quel ragazzo ha diciassette anni).
Lui si sente semplicemente superiore a chiunque altro e dunque se nessuno raggiunge il tuo livello che gusto c’è?
Le cose cambiano quando subentrano faccende di un altro mondo.
Light ritrova stimoli nel momento in cui stringe il quaderno tra le mani e lo inizia ad usare, dapprima con un leggero timore per quei poteri sovrumani ma sin da subito con una grande volontà d’animo, fino ad autoimporsi l’obiettivo utopico di realizzare con esso un nuovo mondo di cui sarà il Dio.
Detto così sembrerebbe un proposito da vero cattivo stereotipato: conquistare il mondo e diventarne re. Eppure, difficile da credere, l’intento da cui tutto muove è il più puro a cui si possa pensare, vale a dire eliminare la malvagità dal pianeta.
Come farlo? Attraverso il terrore. E la storia ci insegna, sin da quando i nostri genitori venivano bacchettati dal proprio insegnante sui banchi di scuola, che non c’è miglior educatore del terrore.
E dunque ecco che Light abbandona i vestiti di uomo per assumere quelli dell’assassino senza volto con i poteri di un Dio: Kira, nome assegnatogli dai primi seguaci e dai media, derivante dalla storpiatura della parola americana Killer, per l’appunto.
I malvagi vengono giudicati dall’occhio di Kira, che con un tocco della propria mano invisibile arresta i loro cuori terminando la loro vita.
Nonostante infatti il quaderno permetta a Light di uccidere in molti modi differenti è l’arresto cardiaco che sceglie come marchio di fabbrica, così che la gente capisca che non è il caso ne tanto meno la fatalità, la forza che si cela dietro ogni morte. Megalomania.
Light riesce nel trasformare una causa naturale come un infarto, in omicidio.
Il fine giustifica Light?
Chi si schiera dalla parte del protagonista sposando le sue premesse, durante la visione della serie è destinato a fare i conti con i ripensamenti, che si affacciano nel constatare come la rettitudine morale di Light inizia a presentare delle crepe.
Nessuno più di lui ha fatto principio etico più alto del modo di dire: “Il fine giustifica i mezzi”.
Niente e nessuno può mettersi tra Light e il suo ideale di mondo perfetto da realizzare, neppure gli innocenti macchiati della sola colpa di star indagando su di lui per conto di terzi vengono risparmiati.
Uccidere Ray Pember, l’agente dell’FBI incaricato di pedinarlo, è stato il secondo grande errore di Kira. Il primo Lind L. Taylor.
In questi due momenti, e forse SOLO in questi due momenti, Light si è tolto la maschera di imperturbabile Dio per indossare quella ben più appropriata di ragazzo qualunque, dimostrandoci di cadere vittima come tutti di impulsività (nel caso di Lind) e di paranoia o eccesso di zelo se preferite (nel caso di Ray).
Ed è a seguito di questi due momenti che ha rischiato maggiormente, esponendosi a deduzioni che hanno portato L fino a lui.
Come gli stessi creatori dell’opera hanno affermato, quando L si presenta a Light è assolutamente certo di aver trovato in lui Kira, sebbene nella rosa dei sospettati (a quel punto molto ristretta) ci fossero i membri di ben due famiglie.
Quando L incontra Light, la partita può dirsi conclusa: L ha un colpevole e deve solo aspettare di coglierlo in fallo. Allo stesso tempo però la partita si riapre: L deve scoprire come Light uccide e questo si rivela tutt’altro che facile.
Empatia e superbia del nuovo Dio
Light presenta anche una mancanza di empatia. Non è un segreto il fatto che abbia solamente sfruttato a proprio piacimento la venerazione che Misa prima e Tanaka poi, avevano nei suoi riguardi.
Ancora una volta, non perché non provasse nulla nei loro confronti, ma semplicemente perché accecato dal suo scopo.
Loro gli servivano e lui le ha usate per la causa Kira.
Lentamente Light si fonde con il suo personaggio, lasciando che la sua vita diventi solo una facciata di copertura per la sua nuova vera vita: quella di Kira.
L’empatia è mancata al giovane anche nel momento in cui condanna L alla morte -per altro facendolo senza il minimo rispetto che sarebbe dovuto ad un Dio, ma anzi, sfruttando una debolezza della povera Rem incurante che così sarebbe morta anche lei-.
Tutto il tempo passato insieme al detective migliore del mondo non è bastato per farlo andare oltre il suo obiettivo di fargli guerra, né di considerarlo un amico, né di versare lacrime sulla sua tomba.
Come detto: Light è completamente accecato dal suo potere e dal suo “risultato finale”.
La lista di aggettivi che gli si possono attribuire è davvero lunga e ad essa si aggiunge anche “Superbo”.
E’ lui stesso ad affermare che nessun altro avrebbe saputo pensare e mettere in pratica un progetto tanto grande quanto quello che si è imposto. E probabilmente ha ragione.
Ma perché questo dovrebbe essere qualcosa di positivo?
La traccia di Kira nella storia del mondo
Alla fine si può dire che la sua guerra lui l’abbia vinta. E non mi riferisco a quella di ben più ridotte dimensioni che ha avuto con L.
Light è riuscito a cambiare il mondo, a lasciare quantomeno una traccia di sé nella storia -come apprendiamo dal capitolo spin-off Death Note One Shot uscito nel 2020 qualche giorno fa-.
Si è ritagliato un posto nell’eternità del suo mondo.
Superbo, megalomane, scarsamente empatico, manipolatore, geniale, senza scrupoli, falso eppure così di bell’aspetto.
D’altra parte si sa, la storia della cronaca nera internazionale ci insegna che tutti i serial killer sono affascinanti.