Così come da piccoli abbiamo amato alla follia le fiabe che ci raccontavano, allo stesso modo abbiamo amato colui che se ne è fatto beffe qualche anno più tardi. Sto parlando ovviamente di Shrek, protagonista di una saga che conta quattro capitoli – e diversi speciali – nonché di questa recensione.
Non credo di dover spiegare nulla della trama o di chi sia Shrek, dato il successo che negli anni ha riscosso, e difatti in questa sede mi concentrerò sull’impatto che ha avuto sia sul mondo delle storie per i più piccoli, sia a livello di insegnamenti morali.
La rivoluzione di Shrek: un uragano nel mondo delle fiabe
Maleficent, The Punisher, Deadpool e in ultimo Venom. Tutti film dove l’eroe non è il convenzionale portatore di alti valori morali da dover elogiare per partito preso, ma anzi, è l’antagonista.
Quando, dunque, si è passati a mettere un Cattivo come protagonista di una pellicola? Proprio da Shrek, che per la prima volta ci ha presentato un’inversione di valori rispetto a quelli a cui eravamo abituati.
Il protagonista non è bello, non è aggraziato ed è forse ciò che di più lontano esista dal principe azzurro.
E questo funziona perché Shrek ha avuto la grande forza di mostrarci cosa possa nascondersi sotto la scorza dura di qualcuno che si era ormai rassegnato alla propria condizione di emarginato perché “tutti giudicano ancora prima di conoscere” (cit.) e addirittura si era calato nella parte, auto convintosi che dovesse essere davvero così, che fosse lui il cattivo.
I film sul popolare orco verde, ci mostrano il “dietro le quinte” delle fiabe che ci raccontavano da piccoli e qui anche personaggi con una connotazione tradizionalmente positiva come la Fata Madrina o lo stesso Principe Azzurro, rivelano il loro lato macchinoso, subdolo e manipolatore.
L’eccessivo perbenismo insito e richiesto nei ruoli sociali che competono loro – lo status di nobili, principi e regnanti – li rendono avidi e approfittatori, nel tentativo più di preservare l’immagine che di perseguire il bene degli altri.
La Fata Madrina ad esempio ha letteralmente costruito un intero business sul rendere felici gli altri, realizzando addirittura una fabbrica di vendita all’ingrosso di pozioni.
Questa saga va a demolire tutti o quasi gli ideali di perfezione che le fiabe ci avevano instillato in tenera età, aprendoci gli occhi sul fatto che “non è tutto oro quello che luccica” e che anche dietro a colui – o colei – che è un simbolo di buoncostume possa nascondersi del marcio da cui guardarsi.
L’elemento in più: Ciuchino!
Nell’opera d’inversione dei valori rientra anche la classica spalla tanto cara alla Disney in ogni suo film. Ebbene si, perché questa volta non si parla di un animaletto carino e coccoloso, da elevare a “protagonista silenzioso” della pellicola – e del merchandise. Vero, Olaf? – .
Questa volta è uno stupido asino del tutto sgraziato quello che ci presentano come spalla comica.
Ciuchino non sembra essere stato concepito per diventare l’emblema del film, la mascotte, ma di fatto lo diventa “per meriti”, se potete passarmi il concetto. Perché non c’è personaggio più carismatico di Ciuchino nell’intero universo Pixar, a mio parere.
È anche il più strambo, se pensate che si è accoppiato con una Draghessa… ma questa è un’altra storia.
Questo personaggio è lo stacco e allo stesso tempo l’anello di congiunzione tra il comportamento cupo e bisbetico dell’orco protagonista e lo spettatore che guarda.
Immaginate quanto sarebbe potuto essere “triste” questo film senza una figura come quella di Ciuchino a smorzare i toni, in qualsiasi circostanza.
Oltre a darci risate assicurate, questo è ovvio!
Shrek e il cambiamento per amore: Fiona
Non c’è un personaggio, in Shrek, che non sia approfondito a dovere.
Persino la docile e romantica principessa da salvare si rivela essere un personaggio pieno di lezioni da imparare.
Fiona ha dovuto affrontare la disillusione più grande della sua vita, nel momento in cui ha scoperto che – proprio come tante ragazze del nostro mondo – il principe azzurro non esiste. O se esiste si presenta in una forma diversa, da accettare con qualche compromesso.
La principessa ha la forza di cambiare le sue convinzioni senza capricci, abbandonando i suoi ideali e addirittura la sua bellezza per “altro”. Altro che si è dimostrato ugualmente valido e le ha regalato una meritata felicità.
È in questo che si vede la forza del personaggio e la forza che ogni donna dovrebbe avere – al di là della forza propriamente detta che Fiona tira fuori nel combattere i banditi corpo a corpo, che ci fa capire non sia da sottovalutare – .
Siamo fatti per inseguire la felicità e l’amore ad ogni costo, ma in modo libero e soprattutto personale.
Fiona è una donna forte e indipendente, che sa scegliere da sola la sua strada, così come chi amare, e porta avanti il suo credo in maniera giusta e senza prese di posizione estreme.
Anche quando minaccia di voler tornare nella palude, lasciando il palazzo reale nel secondo film, lo fa perché capisce che quel posto sta facendo del male al suo Shrek.
E non per ripicca contro i suoi genitori.
I sequel: dopo i primi due film
La saga continua nel terzo e quarto capitolo, dove però sembra che a vincere sul resto sia il puro intrattenimento.
Morale e battute meno impegnate fanno da contorno ad una comunque piacevole storia principale.
Tutto ciò rispettando quello che è il principio base dell’intera saga, ossia: per essere felici e contenti non serve essere belli o importanti.
Si può puzzare e vivere in mezzo al fango, ma, rimanendo se stessi e agendo per il giusto, si può comunque trovare l’amore.
I primi due film in particolare rappresentano una perla della cinematografia d’animazione, a mio parere non solo per i più piccoli, ma anche per i grandi – alcune battute o doppi sensi li capisci e li apprezzi appieno solo da adulto – .
Conclusione
Ed eccoci qui, dunque, a lodare un orco verde.
Ci troviamo davanti ad un film – di facciata – per bambini ma che parla di discriminazione in base all’aspetto fisico, prevaricazione, solitudine, peso del giudizio altrui, emarginazione sociale, facendolo nella maniera più “soft” ed efficace possibile: attraverso la risata!
Cos’altro si può fare, se non un inchino a cappello tolto?
Chapeau.