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Sherlock… Holmes a confronto

Una volta che è stato escluso l’impossibile, tutto ciò che rimane, per quanto improbabile, è senz’altro la verità”.

Sir Arthur Conan Doyle

Un personaggio senza epoca, ecco chi è Sherlock Holmes. Nato dalla penna annoiata del medico scozzese Sir Arthur Conan Doyle e ripreso da due figure di spicco della BBC: Mark Gatiss e Steven Moffat.

Il nostro investigatore privato preferito ha segnato la sua epoca – e la nostra, – con favolose avventure. Oggi libri, merchandising e molto altro vengono venduti ogni giorno.

Che sia con il suo volto oppure il leggendario profilo con pipa e cappello, sono tanti gli oggetti che hanno raffigurato il famoso investigatore, al punto da dedicargli un intero museo e a Londra hanno anche pensato di cambiare tutti i numeri civici di Baker Street (ai tempi di Doyle non esisteva nessun 221b).

I’m Sherlocked

Ma prendiamo in esame la serie della BBC firmata Gatiss/Moffat, la coppia di produttori e attori che ha dato nuova vita a tantissimi altri personaggi e serie come per esempio quella del Doctor Who.

La serie invece dedicata all’investigatore di Doyle e intitolata appunto “Sherlock”, è un riadattamento ai giorni nostri delle opere del medico scozzese.

Fece il suo debutto nelle televisioni inglesi il 25 luglio 2010 sulla BBC one. Riadattamento insolito, ma non impossibile: Sherlock Holmes è sempre stato propenso ad utilizzare ogni mezzo per risolvere i suoi casi e vederlo alle prese con strumenti più tecnologici non insospettisce affatto.

Lo stesso Gatiss ha spesso considerato le altre trasposizioni di Sherlock Holmes “troppo reverenziali e lente”, regalando alla sua un andamento dinamico.

Già il primo episodio infatti, spicca per il dinamismo delle battute, a questo si aggiunga anche che le trame e gli eventi narrati nei vari episodi sono spesso collegati. Più volte ci sono stati regalati degli spoiler, ma sarebbe meglio chiamarli indizi.

Questo è anche uno dei punti di forza della serie e gli autori ci hanno visto lungo: chiunque sia fan della saga di Sherlock Holmes (Benedict Cumberbatch) si è sempre divertito a sfidare il famoso detective ad arrivare prima alla conclusione del caso.

Gatiss e Moffat hanno anticipato lo spettatore in questa sfida, inserendo degli “indizi” sul caso degli episodi successivi: personaggi ai quali sono collegati casi di episodi precedenti oppure in stagioni precedenti.

Basti semplicemente pensare al Vento dell’Est, a Barbarossa, alla vita di Mary Morstan (Amanda Abbington) prima del matrimonio con John Watson (Martin Freeman) o a determinati personaggi e manifesti in giro per Londra. Bisogna avere occhio svelto per riconoscerli tutti.

Una sfida divertente, sostenuta dal fatto che l’opera e le avventure sono state scritte più di cento anni fa: il soggetto era già pronto. L’aggiunta di riferimenti all’opera infatti è apprezzabile e permette allo spettatore di godere ancora di più una serie magistrale, su un personaggio dove indovinelli e misteri sono all’ordine del giorno.

Spirito di osservazione, perspicacia e arguzia sono richiesti sia a Sherlock Holmes sia a noi spettatori.

Cumberbatch e Freeman sono eccezionali. Alzano nettamente il livello di una serie già di altissimo spessore. Da sottolineare è l’interpretazione di Cumberbatch, seconda solo a quella di Jeremy Brett, che Mel Gussow del New York Times definì “la reincarnazione del personaggio immaginato da Arthur Conan Doyle”. Dunque superiore addirittura a Basil Rathbone, capostipite della personificazione di questo personaggio.

Il modo in cui Cumberbatch dà vita al suo Sherlock Holmes, con le dovute modifiche del caso, è intimo e geniale. Sembra che non sia mai potuto essere qualcun altro ad interpretarlo a queste condizioni. Tant’è che gli stessi Gatiss e Moffat non avevano in mente nessun altro sin da quando hanno cominciato a pensare alla serie nel lontano 2007, esattamente tre anni prima del suo debutto.

Nonostante non sia una riproposizione fedele e precisa dei racconti di Doyle (ma questa non era nemmeno l’intenzione iniziale), Cumberbatch riesce perfettamente a fondersi con il personaggio di Doyle e lo fa suo. E’ razionale, geniale, iperattivo, sociopatico, ma in una qualche maniera anche emotivo.

Cosa che raramente si è vista nelle sue rappresentazioni.

Si è sempre preferito raccontare di uno Sherlock-calcolatore anziché di uno Sherlock-umano. Forse per paura di uscire troppo dal personaggio, ma Gatiss, Moffat e Cumberbatch accettano la sfida e raccontano di uno Sherlock sia umano che calcolatore e la vincono anche egregiamente.

Prendi una bugia e la avvolgi nella verità

Sherlock Holmes, Le cascate di Reichenbach

Ep3; S2

Il tutto è mescolato con la capacità di Martin Freeman (già Bilbo Baggins) nel ruolo di Watson, che non è solo di semplice spalla, ma riesce a riempire qualunque cosa di un realismo estremo e palpabile: riesce a trasformare l’uomo comune in pura poesia, come lo definirà successivamente Moffat.

La Serie “Sherlock” vincerà svariati Emmy nel 2014, questi verranno assegnati per la miglior fotografia, sceneggiatura a Steven Moffat, composizione musicale e miglior attore protagonista a Benedict Cumberbatch e migliore attore non protagonista a Martin Freeman.

Riferimenti tra “Sherlock” e Holmes

Nella serie Sherlock vi sono numerosi riferimenti al mondo della narrativa giallistica e a diversi racconti di Doyle. Ad esempio: quando Sherlock si droga di cocaina in una soluzione al “sette per cento”, si fa chiaramente riferimento ad un libro del 1974 scritto da Nicholas Meyer, nel quale appunto Sherlock Holmes, con l’aiuto di Sigmund Freud, affronta la sua dipendenza dalla cocaina.

Tanto per citare un altro riferimento alla saga sherlockiana, nel finale della quarta stagione si vedono Sherlock e Watson uscire da un edificio chiamato Rathbone House: è ovviamente un omaggio a Basil Rathbone, uno dei primi ad interpretare il ruolo di Sherlock Holmes su schermo.

Oppure, il mocassino orientale dove il protagonista mette le sigarette che si vede in qualche scena, è preso direttamente dalla scenografia della serie con Jeremy Brett

Poi ovviamente troviamo un riferimento particolare: il ritratto di profilo di Edgar Allan Poe, padre di questo genere letterario.

Nel caso foste curiosi di scoprire altri riferimenti inseriti nella serie, vi lascio qui il link.

Nemici alla pari

Come ogni protagonista che si rispetti anche Sherlock ha il suo nemico dichiarato, un antagonista, il machiavellico Jim Moriarty. Interpretato da un meraviglioso Andrew Scott, che rende il personaggio di Moriarty geniale e al contempo uno psicopatico senza precedenti.

Infatti come Sherlock Holmes si è costruito il lavoro di consulente investigativo, Moriarty lo ha fatto con quello di consulente criminale.

Entrambi si scoprono essere molto simili e contemporaneamente antitetici. Come se fossero due facce della stessa medaglia, come se avessero in una qualche misura il bisogno di confrontarsi e di distruggersi l’un l’altro.

In un mistico gioco di luci ed ombre.

Sia Holmes che Moriarty fanno quello che fanno solo per accontentare il loro estro creativo e soddisfare una qualche loro mancanza. E’ facile ricondurre il tutto ad una motivazione egoistica. Holmes risolve crimini per il semplice gusto di mettere in azione le proprie facoltà mentali, Moriarty lo fa per semplice sadismo personale.

C’è solo una piccola differenza tra i due e ciò spiega anche il loro scontro: la presenza di John Watson. Il personaggio di John e l’ascendente che ha su Sherlock Holmes, permette al nostro investigatore di non farsi suggestionare e continuare a pensare lucidamente, anche quando, nel finale di seconda stagione, Moriarty comincia a distruggere la fama di Sherlock.

L’unico che non si lascia influenzare è Watson, che sorreggerà Sherlock nel momento massimo di crisi e riuscirà ad organizzare il piano Lazarus: Sherlock inscenerà la sua morte dopo lo scontro verbale con Moriarty sul tetto del St Bartholomew’s Hospital.

Scena pianificata a dovere: il modo in cui la telecamera si muove e li segue, anche quando sono fermi; poi gli gira intorno lasciandoci trasparire la tensione e la dinamicità interna del momento. Nonostante tutto sia apparentemente cauto e piatto.

E’ come se le loro voci, le loro facoltà mentali e la loro genialità e pazzia ci stessero parlando. Sarà soltanto l’arroganza del consulente criminale che la darà vinta a Sherlock Holmes.

Nella serie, dunque, emerge che i personaggi di Sherlock e Jim Moriarty, nonostante siano simili nel modus operandi, sono anche antitetici: una ragione prettamente motivazionale nelle loro azioni. Senza John Watson, Sherlock Holmes e Jim Moriarty sarebbero stati la stessa persona.

Cumberbatch e i suoi predecessori

La sfida di Benedict Cumberbatch non è stata solo quella di raffrontarsi con un personaggio, la cui fama era consolidata da più di un secolo, ma anche con i suoi predecessori che hanno interpretato il ruolo di Sherlock Holmes.

Tra questi Basil Rathbone e Jeremy Brett.

Cumberbatch in questa sfida riesce a tenere testa ad entrambi riuscendo quasi ad eguagliare Jeremy Brett. E’ difficile farne un vero e proprio paragone: le scelte registiche, di sceneggiatura e fotografia e scenografie erano sicuramente diverse, come lo erano le necessità di trasposizione.

Sia Jeremy Brett sia Basil Rathbone si trovarono a mettere in scena uno Sherlock Holmes molto simile a quello descritto da Doyle, mentre lo Sherlock di Cumberbatch è molto diverso, reinterpretato come un sociopatico-iperattivo ad alto rendimento e spesso odioso.

Anche per una scelta stilistica per via della estrema dinamicità della serie si contrappone allo Sherlock Holmes dei libri, come a quello di Jeremy Brett e Basil Rathbone, dove lo vediamo più cauto, riprendendo la figura del tipico gentleman inglese e che si addice di più ad una Londra dell’età vittoriana.

Credo che l’interpretazione che ci ha regalato Jeremy Brett è probabilmente quella più riuscita. Abile infatti ad incarnare il personaggio stesso di Doyle, aggiungendo il tipico senso d’ironia e temperamento cauto inglese. Aggiungendo inoltre, quella piccola dose di pazzia generale che ha sempre contraddistinto il personaggio.

Lo stesso Brett dichiarò il ruolo di Sherlock Holmes più complesso di un Amleto o un Macbeth. Divenne proprio una parte di lui, come lo è diventato per Benedict Cumberbatch.

Sherlock Holmes è un’icona, il personaggio si cuce addosso all’attore. È un vero proprio modo di pensare:lui diventa Sherlock Holmes e Sherlock Holmes diventa lui. Jeremy Brett ne fece un’interpretazione brillante, perché divenne un tutt’uno con il suo personaggio.

Successivamente molti si sono ispirati a lui, come modello per Sherlock Holmes e così ha fatto anche Cumberbatch: diventa il suo Sherlock Holmes, con lo stesso metodo di Jeremy Brett, cominciando a pensare come lui e diventando lui.

“Interpretarlo ti dà una grande carica, grazie al volume di parole nella tua testa e alla velocità dei suoi pensieri – devi davvero ragionare velocemente. È sempre un passo avanti allo spettatore e a chiunque abbia un normale intelletto. Nessuno riesce a stargli dietro.”

Benedict Cumberbatch

Alessandro De Carli
Alessandro De Carli
Studente di filosofia, amante del disegno e del cinema; appassionato di anime e di film storici. Vago spesso senza meta tra gli scorci della capitale, eppure, metà del cuore è rimasto in Scozia, l’altra metà si nasconde in Giappone.

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