Una nuova serie di insolite avventure per Alyssa e James che, a due anni dai fatti sanguinolenti che li hanno visti protagonisti, sono ancora perseguitati dai demoni del proprio passato
Alcuni finali sono talmente appropriati che continuare la storia sarebbe superfluo o, peggio ancora, controproducente.
Molti telefilm ad un certo punto andrebbero semplicemente conclusi per evitare di snaturarne i contenuti e disperderne il significato.
Lo ha capito bene Charlie Covell, sceneggiatrice di The End of The F***ing World, che ha infatti dichiarato che è improbabile si metterà a lavorare ad un terza stagione del celebre dark comedy-drama targato Netflix.
Sì, okay, ma dove eravamo rimasti?
Se la prima stagione della serie ci aveva lasciato con una sfilza di punti interrogativi – primo fra tutti il destino del protagonista maschile – la seconda stagione da una risposta a quasi tutte le domande, lasciando comunque qualche quesito irrisolto, come ogni buon racconto che si rispetti.
A due anni dallo strampalato e sfortunato viaggio intrapreso con l’introverso compagno di scuola James, ritroviamo Alyssa – ormai quasi ventenne – che lavora in un’isolatatavola calda con una nuova vita che non sembra appartenerle.
La ragazza ha perso quel piglio ribelle che la caratterizzava ed è sprofondata in uno stato di apatia – «Non sento più niente» dice a se stessa e allo spettatore guardando giù da un ponte nel secondo episodio – peggiore dell’insoddisfazione che provava prima della sgangherata fuga on the road.
Alyssa è diventata il fantasma di se stessa, situazione, questa, ben suggerita dallo sguardo vitreo e dal bianco dell’abito nuziale indossato per gran parte della seconda stagione e che tanto ricorda la sposa di Kill Bill.
James, d’altro canto, ha passato momenti forse peggiori, essendosi svegliato gravemente ferito in un letto di ospedale con un’accusa di omicidio a suo carico e dovendo affrontare nuovamente il dolore di una perdita.
Le novità della seconda stagione e le differenze con la graphic novel
In questa stagione viene introdotto anche un nuovo personaggio, una giovane e misteriosa donna di nome Bonnie – visibile già nel trailer e alla quale viene dedicato l’intero primo episodio – che si mette sulle tracce di Alyssa con intenzioni tutt’altro che rassicuranti.
I tre risultano indissolubilmente legati fra di loro e intraprendono insieme un viaggio dove violenza e redenzione fanno da padrone.
Sebbene la seconda stagione vada oltre l’omonima graphic novel a cui la serie è ispirata, che invece si conclude con James ucciso dai poliziotti durante la sparatoria della 1×08, l’impianto narrativo risulta ugualmente solido e ben costruito.
Struttura vincente non si cambia: gli episodi sono sempre otto dalla durata di circa 20 minuti l’uno, adattissimi, quindi, al binge-watching. Vengono mantenute anche le atmosfere cupe unite a primi piani e prospettive dal sapore andersoniano.
Il ritmo, però, è meno incalzante della prima stagione e lascia più spazio alle riflessioni di Alyssa e ai terribili ricordi che la perseguitano.
Fra introspezione e fantasmi del passato
In TEOTFW2 l’azione è mossa per lo più dal personaggio di Bonnie – il cui nome è un tributo a Bonnie e Clyde, di evidente ispirazione nella scrittura dei personaggi dei due ragazzi – un’antagonista che mostra una memorabile doppia faccia, inquietante quanto fragile, maldestra quanto spietata, in grado sia di incarnare in maniera fisica i fantasmi del passato che inseguono Alyssa e James che di avere una propria personale evoluzione.
In generale questa stagione è caratterizzata da una maggiore introspezione atta a sottolineare il passaggio da una difficile adolescenza alla – forse – consapevolezza dell’età adulta.
Se la prima serie ci mostravadue diciasettenni insoddisfatti, con vissuti problematici e pieni di complessi, compiere una serie di azioni avventate nel tentativo di evadere dal grigiore delle proprie vite; laseconda ci mostra leconseguenze di quelle azioni e loro complicata elaborazione, senza rinunciare completamente ai colpi di testa (e di scena).
Un giusto compimento, quindi.
Il tutto condito da un’immancabile black-humour di stampo british e da diversi omaggi a Quentin Tarantino – di ovvia ispirazione per la serie – che rendono The End of The F***ing World non per tutti i palati, ma proprio per questo in grado di distinguersi da altri – meno originali – teen drama.
Grazie per aver letto questo articolo, speriamo che tu l’abbia trovato interessante!
Se vuoi saperne di più su The End of The F***ing World ti consigliamo di consultare la scheda della serie.