Fresco vincitore di tre premi Oscar (Miglior Film, Regia e Attrice Protagonista), Nomadland narra la storia di una donna che, dopo il collasso economico di una città nel Nevada rurale, carica i bagagli sul proprio furgone e si mette in strada alla ricerca di una vita fuori dalla società convenzionale.
Chloé Zhao, prima donna non statunitense a trionfare nella categoria Miglior Regia e seconda regista donna nella storia degli Academy, confeziona un viaggio universale di perpetua esplorazione, sorpresa ed amicizia.
Il film è disponibile in contemporanea dal 30 aprile su Disney+ e nelle sale cinematografiche.
“Non tutti coloro che vagano sono persi”
Fin dall’antichità, il viaggio è una prerogativa dell’uomo. Inizialmente, per sottrarsi al freddo e alle avversità, fu una necessità fisica, diventando col tempo una necessità economica, per, poi, trasformarsi anche in una necessità mentale, spirituale, per certi sensi.
L’esplorazione dell’ignoto, nonché la riscoperta di se stessi, sono temi che, nella letteratura e nel cinema, trovano ampio respiro.
La Divina Commedia è, di per sé, un viaggio dedaleo. Jack Kerouac fece della strada la sua personalissima filosofia. Il Siddharta di Herman Hesse errò per una vita intera. Tolkien ideò uno dei cammini più tortuosi di sempre, affermando, per altro, che “non tutti coloro che vagano sono persi”.
Nel 2017, la giornalista americana Jessica Bruder pubblica Nomadland. Surviving America In The 21st Century (edito in Italia nel 2020 da Edizioni Clichy), un libro d’inchiesta sul fenomeno del nomadismo “senile”, incentrato su coloro che, a causa della Grande Recessione, sono costretti a spostarsi regolarmente in cerca di lavoro stagionale.
Altri, invece, abbracciano questo stile di vita spontaneamente una volta in pensione.
Ma non solo. Una sorta di combinazione tra necessità fisica e mentale.
L’adattamento cinematografico, scritto, diretto, montato e prodotto della regista cinese Chloé Zhao, ha come protagonista Fern, una vedova sessantenne di Empire, un insediamento di circa 250 persone nel Nevada campestre.
Fern, interpretata da Frances McDormand (Fargo, This Must Be The Place e Tre Manifesti A Ebbing, Missouri), si ritrova senza prospettive, a seguito del licenziamento da parte della miniera che alimentava l’intero paesino.
La donna si sbarazza, quindi, di ogni possesso materiale, eccezion fatta per qualche oggetto dal valore principalmente affettivo, e acquista un van su cui decide di viaggiare e vivere.
Si snocciolano da qui una serie di spostamenti ciclici alla ricerca di un lavoro temporaneo, che sia come magazziniere per Amazon, addetta al fast food, oppure bracciante per la raccolta di barbabietole.
Fedelmente accompagnata dal suo camioncino, soprannominato Vanguard (un abile gioco di parole tra “van”, furgoncino, e “avanguard”, avanguardia), la coraggiosa Fern attraversa il cuore degli Stati Uniti.
Frances McDormand abbandona la sfrontatezza tipicamente hollywoodiana di Tre Manifesti A Ebbing, Missouri e incanta con una performance autentica, volutamente fredda e, soltanto in apparenza, distaccata. L’attrice “anti-diva” per eccellenza ha guadagnato così l’Oscar per la Migliore Attrice Protagonista, il terzo della sua stellare carriera.
La distruzione del sogno americano
Fern è una donna taciturna, indipendente e cauta, ma la sua autonomia non le impedisce di scontrarsi, volontariamente o involontariamente, con altri viaggiatori. Ciò che arricchisce realmente Fern (e lo spettatore) sono, infatti, le decine di incontri lungo la strada.
Ed è qui che il cinema di finzione di Nomadland trova un interessante crossover con il cinéma vérité. I personaggi che vengono introdotti in innumerevoli scene della pellicola non sono attori di professione, ma veri e propri nomadi incrociati durante il tragitto.
Il più celebre è Bob Wells, capostipite dei Vandwellers, ovvero di coloro che vivono in veicoli mobili, respingendo la quotidianità più canonica. Durante un suo seminario nel deserto, troviamo accampate decine di persone che, per volontà o urgenza, risiedono in camper o furgoni.
Le loro storie vengono rivelate crudelmente, senza falsi moralismi o filtri. Si tratta di un’esistenza difficile, ai margini della società, priva di aiuti sanitari o finanziari, dove l’essere autosufficienti è alla base di tutto. Le disarmanti audacia e libertà di queste persone vengono esaltate dalle loro coraggiose scelte di vita. Perché tutti, nonostante le difficoltà, non smettono mai di sorridere e sognare.
C’è un breve momento, probabilmente marginale, che racchiude, però, tutta la poetica del film: una donna, consapevole di essere malata terminale, raggiunge l’Alaska soltanto per riconnettersi con la natura ed inviare agli amici il video dell’ultima escursione in Kayak. La sua autorealizzazione finale, è allo stesso tempo una distruzione e un’esaltazione del sogno americano.
“Restano la terra e la bellezza”
“Gli uomini vanno e vengono, le città nascono e muoiono, ma la terra resta, solo leggermente modificata. Restano la terra e la bellezza che strazia il cuore, dove non ci sono cuori da straziare“.
Chloé Zhao ha dichiarato che questa citazione dello scrittore Edward Abbey è stata la chiave di lettura per le riprese di Nomadland. La minuscola crew di 25 persone che ha realizzato la pellicola si è, infatti, ritrovata costantemente ammaliata dalla magnificenza dei luoghi naturali visitati.
Il Black Rock Desert in Nevada, la regione di Badlands in Sud Dakota (giá sfondo del capolavoro La Rabbia Giovane di Terrence Malick), le ostili praterie del Nebraska, le abissali cavità dell’Arizona e gli irrequieti faraglioni delle coste californiane sono solo alcuni dei luoghi in cui ci si imbatte down the road, lasciando lo spettatore costantemente senza fiato.
La fotografia, curata da Joshua James Richards, immortala un’America spoglia delle sfarzose luci della città, facendoci approdare sotto luminosi cieli stellati e fra insenature rocciose dai colori caldi.
Le immagini si amalgamano perfettamente ai tasti mesti, ma confidenti, di Ludovico Einaudi, le cui composizioni sono sparse per tutta la durata della pellicola.
Chloé Zhao, che grazie al Leone D’Oro, al Golden Globe e, ora, all’Oscar per la Miglior Regia è una delle cineaste donne più premiate di sempre, non è nuova a questo tipo di ambientazioni e tematiche.
Il suo film d’esordio, intitolato Songs My Brother Taught Me (disponibile su Mubi), traccia le vicissitudini di un giovane che si prepara a lasciare una riserva indiana alla volta di Los Angeles. Emarginato è anche il protagonista della sua seconda fatica The Rider, un cowboy in crisi intrappolato tra le praterie del Nord America.
Nomadland: uno scorcio della strada
Nomadland trasuda curiositá per l’ignoto, nostalgia per il passato, timore per il futuro, ma, soprattutto, tanto ardimento. Soltanto una regista come Chloé Zhao poteva trasportare sul grande schermo una storia in maniera così sentita e confidenziale.
Nata a Pechino, trasferitasi adolescente nel Regno Unito e stabilitasi negli Stati Uniti per frequentare l’università, conosce sulla propria pelle il distacco familiare, la solitudine e gli ostacoli dello spostamento. Come una nomade moderna, è in incessante evoluzione.
Riportando una sua menzione: “La definizione di “strada” è la continua ricerca di ciò che sta oltre l’orizzonte. Ho tentato di catturarne uno scorcio in questo film, sapendo che non è possibile descrivere veramente la strada americana ad un’altra persona.”
Bisogna scoprirla da soli.