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Un Re “senza voce”, un popolo senza voce

Il Discorso del Re, film evento del 2010, è diretto dal regista londinese Tom Hooper, che conosciamo per aver lavorato prevalentemente nella televisione e per aver raggiunto l’apice della sua carriera con la presente pellicola.

Proprio con Il Discorso del Re, infatti, è riuscito ad ottenere ben 4 Oscar su 12 nomination, tra cui quello per la Miglior Regia. Nel 2015 Tom Hooper ha diretto anche The Danish Girl, film anche questo candidato a diverse statuette (4, nello specifico), di cui una vinta (quella per la Miglior Attrice Non Protagonista ad Alicia Vikander).

La storia è Storia

Il film è sia storico sia biografico in quanto si estende per un periodo abbastanza ampio. Tale lasso di tempo ha inizio con il discorso tenuto da Albert, Duca di York (Colin Firth) nonché figlio minore del re Giorgio V. Tale discorso ha luogo a Wembley, nel 1925, durante la celebre Empire Exhibition.

Il film si conclude, invece, con la dichiarazione dello stato di guerra verso la Germania, quindi il 3 settembre del 1939, esattamente due giorni dopo l’invasione della Polonia da parte di Hitler. Ci viene dunque presentato un periodo importante, ben quindici anni di storia post prima guerra mondiale, momento in cui le sue ripercussioni si fanno ancora parecchio sentire.

Vi è, infatti, negli uomini la paura intrinseca di una nuova guerra, una paura forte, percepibile e radicata. È un momento estremamente delicato. L’impero britannico si trova nel mezzo di due poli, con Hitler da un lato e Stalin dall’altro.

A questa situazione di tensione sul piano internazionale si aggiungono problemi interni alla famiglia reale stessa, come quello dell’abdicazione del fratello maggiore del duca di York, il Principe del Galles, Edward. Pochi mesi dopo la sua salita al trono come Re Edoardo VIII, egli abdica in favore del fratello, per sposarsi con la donna che lo accompagnerà per tutta la vita: Wallis Simpson, donna statunitense, già due volte divorziata.

Questo è il quadro storico di fondo, sul quale avanzano gli eventi e i personaggi stessi che ruotano attorno a questi eventi. La sceneggiatura di David Seidler è, dunque, ben calibrata, equilibrata. Egli riesce a rendere realistica l’unione tra storia, romanzo e biografia, infatti non a caso riceverà il secondo dei quattro Oscar come Miglior Sceneggiatura Originale.

Gli eventi narrati riguardano in primo luogo il rapporto di amicizia che s’instaura tra “Bertie”, il duca di York e Lionel Logue (Goffrey Rush), il logopedista australiano che tratta la sua balbuzie, e in secondo luogo le pressioni sociali sul duca, futuro re. Pressioni provenienti dalla famiglia e dai funzionari pubblici, a causa del duro periodo storico caratterizzato dalla guerra imminente.

Il discorso d’inizio

Il Discorso del Re si apre con una scena molto eloquente, accompagnata da una musica in crescendo; vediamo subito un microfono, che può essere forse considerato il vero protagonista del film.

Con uno stacco troviamo, poi, quelli che erano allora i duchi di York, il futuro Re Giorgio VI e sua moglie Elizabeth (Helena Bonham Carter).

Questi due personaggi sono ora intenti a ripassare il messaggio da parte del Re Giorgio V, che il duca dovrà pronunciare di lì a poco. Durante questa sequenza di scene ritroviamo due inquadrature molto importanti:

La prima è un primo piano sullo stesso duca, visibilmente preoccupato e spaventato da quello che sta per accadere. A fatica egli riesce a ripetere le parole, che probabilmente ha ripetuto e letto fino alla nausea, ma che è terrorizzato di non riuscire a pronunciare. Questa sua preoccupazione e inquietudine sono decisamente esplicite e palpabili nel corso della scena.

La seconda è invece una ripresa a mezzo busto dei consorti, in cui saltano subito all’occhio i loro atteggiamenti e sentimenti. Mentre Giorgio VI ripassa, la duchessa, che sta empatizzando con lui, lo tiene sotto braccio e lo accarezza ripetutamente.

I due sembrano soli nella stanza, a vivere quel momento di debolezza e tenerezza, ma con un altro stacco della cinepresa scopriamo che non è così. Un disagio così personale è forzatamente vissuto sotto gli occhi di alcuni gentlemen inglesi, tra cui l’arcivescovo di Canterbury.

Questi gentlemen sono anch’essi preoccupati, ma non perché comprendano il momento di difficoltà del duca; lo stesso arcivescovo si dimostrerà, infatti, nel corso del film, un vero e proprio approfittatore, un adulatore.

I gentlemen inglesi sono piuttosto e solamente interessati alla buona riuscita del discorso. Si tratta di una preoccupazione materiale, legata al ruolo del Duca in quanto figlio del Re, e non a lui in quanto persona. Questo ci fa comprendere come viene considerato il disturbo linguistico del protagonista e la superficialità delle relazioni che si intrecciano in certi ambienti.

Simmetrie e conflitti

Il lavoro di Tom Hooper e del direttore della fotografia Danny Cohen è decisamente sublime. Alcune di queste inquadrature sono molto simmetriche, quasi ci fosse un riferimento ad un altro eccellente regista, Wes Anderson.

È anche vero, però, che questo tipo d’inquadratura, così simmetrico e geometricamente preciso, viene esplicitato solo nelle scene più intime, oppure quando un personaggio esprime, con o senza parole, un disagio interiore.

Troviamo svariati esempi che confermano ciò, basti vedere la scena precedentemente descritta oppure il primo incontro tra Lionel e il Duca, ma anche la scena in cui il logopedista interpretato da Goffrey Rush è protagonista.

In quest’ultima Lionel è raccolto con la propria famiglia ed è visibilmente preoccupato per il Duca.
La scena è composta simmetricamente e in maniera esemplare.
La geometria della carta da parati sembra adattarsi perfettamente alla simmetria della scena.

Le figure sono tra loro in perfetto accordo, equilibrio e armonia.
Si viene, infatti, a creare un quadretto familiare in cui i componenti della famiglia sono disposti, a partire dalla destra, con un ordine chiaro e preciso, in maniera decrescente.

Questo ordine ha inizio dal padre, solo, concentrato e preoccupato al lato destro della stanza.
Egli si trova in un uno spazio fisico e mentale distaccato, lontano e separato dal resto della famiglia.

A sinistra troviamo invece la madre con i due figli ed è grazie ad uno sguardo su di loro che si percepisce calore e serenità; in parte per i colori caldi e tiepidi, in parte per le luci soffuse e lievi, poste agli estremi della stanza.

Chi è veramente il Duca di York?

Il personaggio di “Bertie”, ovvero del Principe Alberto, è stato senza dubbio adattato, e dunque romanzato per il grande schermo. Questo compito è stato svolto dagli sceneggiatori, coadiuvati dall’interpretazione impeccabile di Colin Firth, il quale riceve, infatti, l’Oscar come Miglior Attore Protagonista.

Nonostante ciò, è probabile che la sua interpretazione non si distacchi molto da ciò che è stato provato nella realtà dal vero Duca di York.

Viene rappresentato un principe pieno di timore nei confronti dell’autorità paterna, un principe costretto a subire le angherie del fratello, ma soprattutto un uomo punito poiché nato mancino, pratica molto comune ai tempi.

Eppure ciò che lo affliggerà maggiormente per tutta la durata della sua esistenza, sarà sempre la sua forte balbuzie.

Non è difficile trovare un netto collegamento tra la balbuzie e la paura verso la figura paterna, più volte, infatti, nel film si può notare come il balbettio diventi più audace se pronunciata la parola “King, Re”.

Spesso, inoltre, il Duca stesso affermerà che il padre ha decisamente incoraggiato gli scherni da parte del fratello, credendo che fosse un problema legato all’autostima, rimproverando il povero “Bertie” e dicendo: “Tira fuori ragazzo!”. 

Il rapporto ostile con il fratello, da cui è stato schernito durante tutta l’infanzia e che ha creato ancora più insicurezza e paura nel giovane principe Albert, ha peggiorato, quindi, la sua situazione ed ha certamente aggravato la sua balbuzie.

Sin dalla giovinezza, ma poi anche in età adulta, “Bertie” non è mai riuscito a dare spazio a questo suo grande problema e tantomeno a fronteggiarlo a dovere. Nonostante gli esercizi di dizione, respirazione e di scioglimento dei muscoli, ha sempre continuato ad avere questo blocco.

Solamente cominciando delle sedute da Lionel e nel periodo della morte del padre, il Duca di York riuscirà a notare un miglioramento, anche se una minima imitazione canzonatoria da parte del fratello sarà in grado di cancellare tutti i progressi fatti e le esercitazioni svolte fino ad allora.

“Bertie” ricomincia, quindi, a balbettare spesso, e questo suo problema peggiorerà nel momento dell’abdicazione del fratello e della sua, conseguente, ascesa al trono.

Da questo momento in poi la sua condizione subirà, infatti, una forte regressione, al punto che Bertie non riuscirà nemmeno a parlare in pubblico. La sua più grande paura sarà, quindi, divenuta realtà.

Presa infatti la decisione di non pronunciare il discorso di Natale, cosa che solitamente era compito del padre, si rende conto di essere un “Re senza voce” e di non riuscire a rappresentare, quindi, la voce del suo popolo.

Egli si percepisce ora solamente come un sostituto del negligente fratello.

La fede nella propria voce

Da questo momento in poi ha inizio il punto di svolta per “Bertie”, punto che troverà il suo apice nella scena delle prove dell’incoronazione. Durante una discussione tra il Re e Lionel, quest’ultimo racconterà di come abbia iniziato a curare i difetti del parlato, con i veterani della Prima Guerra Mondiale sotto shock per gli orrori vissuti. Egli è riuscito a: “dare loro fede nella propria voce”.

È in quel preciso istante che il re è vittima di un vero e proprio cambiamento, capisce che deve essere sentito, ascoltato, poiché la sua voce rappresenta quella del popolo britannico e dell’intero Impero Britannico, Australia compresa.

Da quel momento in poi le esitazioni e i balbettii diventeranno sempre più rari, fino a scomparire quasi del tutto.

Un attore da re

Colin Firth grazie a questo ruolo è riuscito a ottenere non soltanto l’Oscar come Miglior Attore Protagonista, ma anche un Golden Globe e tantissimi altri premi.

Questi riconoscimenti sono dovuti al modo impeccabile con il quale ha dato vita a Re Giorgio VI, rendendolo vero e reale, e riuscendo a sintetizzare in maniera equa e precisa gli aspetti fondamentali del suo personaggio.

Firth è stato infatti in grado, in questo ruolo, di unire sapientemente interpretazione personale, il personaggio della sceneggiatura e il personaggio biografico, risultato che solo un attore della sua levatura avrebbe potuto ottenere.

L’andamento della recitazione, ovvero quante parole poteva permettersi di pronunciare fluentemente, si muove di pari-passo, con le fasi di evoluzione e miglioramento, ma anche retrocessione di cui il Duca è vittima.

Errori storici ne “Il Discorso del Re”

Benché il film non presenti grandissimi errori storici e rimanga infatti molto fedele ai fatti, ci sono comunque delle imperfezioni da correggere: una, ad esempio, è quella relativa alla nomina al cavalierato di Lionel Logue, svoltasi nel 1937, mentre nel film viene riportata una battuta dallo stesso Logue, il quale fa intendere che nel 1939 egli non fosse ancora diventato cavaliere.

L’altra riguarda invece il momento in cui Lionel Logue viene quasi tacciato di frode e accusato di non aver svolto alcun tipo di tirocinio o studio. Sappiamo che in realtà non è propriamente così. Egli infatti poté studiare al Prince Alfred college di Adelaide, dove diventò inoltre segretario e assistente del suo professore universitario.

Un discorso difficile

Il 1° settembre del 1939, Hitler rompe il patto di non belligeranza e invade la Polonia. Il 3 settembre 1939, due giorni dopo, La Gran Bretagna e La Francia dichiarano guerra alla Germania.

Sono queste le ore che precedono il discorso di dichiarazione dello stato di Guerra contro la Germania, momento in cui la tensione diventa palpabile.

Abbiamo, quindi, una frenetica sequenza di immagini che si alterna tra il cielo, dove si trovano i palloni anti aereo, e la macchina di Lionel che corre velocemente verso Buckingham Palace, non fermandosi nemmeno al suono della sirena d’allarme.

Con l’arrivo di Lionel al palazzo, cominciano le prove del discorso e si nota che il re è fortemente agitato, tensione che gli impedisce di pronunciare quasi tutte le parole.

Nonostante ciò, tenta ora di mettere in pratica contemporaneamente tutti quei trucchetti logopedistici che Lionel gli aveva insegnato: inizia infatti a ballare, a cantare e a pronunciare torpiloqui.

In questo momento comprende inoltre definitivamente, tra uno sfogo e l’altro e parlando con il suo più grande amico, che il potere del re si cela tutto nella voce, voce che è anche la stessa della nazione.

Il discorso che andrà a pronunciare, non è un discorso che ha il “solo” scopo di avvisare i sudditi di una guerra imminente, ma un discorso in grado di sollevare il morale dei soldati e della nazione stessa, facendo sentire a tutti la vicinanza del re.

Vicinanza che rimarrà, sempre e comunque, per il bene della propria nazione e per quello dell’Impero, che si trovava infatti, in quell’occasione, tutto lì, pronto ad ascoltare.

Con l’ennesimo gesto di maestria, Colin Firth ci fa percepire, nei pochi secondi prima della messa in onda, tutta la tensione, ma nonostante ciò appare ora più sicuro rispetto a quel Duca presentato all’inizio del film.

Durante questo ultimo e decisivo discorso, ogni pausa è, infatti, calcolata ad arte, al fine di risultare solenne, nonostante sia dovuta all’ancora presente balbuzie, tra gli sguardi ammirati della moglie e del suo maestro.

Il resto è Storia

Alessandro De Carli
Alessandro De Carli
Studente di filosofia, amante del disegno e del cinema; appassionato di anime e di film storici. Vago spesso senza meta tra gli scorci della capitale, eppure, metà del cuore è rimasto in Scozia, l’altra metà si nasconde in Giappone.

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