Approda su Netflix Fran Lebowitz: Una Vita A New York, docu-serie di 7 episodi in cui la pungente scrittrice americana, vulcano di opinioni e dissapori, si siede a tavolino con Martin Scorsese e racconta, senza filtri, la New York di ieri e di oggi.
Centinaia sono le icone legate a New York City. E centinaia sono gli scenari che la grande mela ha ispirato nel tempo. Martin Scorsese ne ha tratteggiato la sanguinolenta criminalità, Woody Allen è portabandiera del romanticismo in bianco e nero e dell’intellettualismo borghese, Spike Lee ha dato voce alle minoranze dei sobborghi, Noah Baumbach la ritrae dolceamara.
Ma soltanto lei, Fran Lebowitz, può definirsi quintessenza della cultura newyorkese. Come la sua città, è tagliente, sfacciata, chic, anticonformista, menefreghista. Unica.
Sono proprio i suoi giudizi e le critiche alla società ad essere i protagonisti della serie Fran Lebowitz: Una Vita A New York. Il documentario ad episodi, che arriva poco più di un anno dal successo di The Irishman, è l’ultimo progetto Netflix di Martin Scorsese, il quale detiene un contratto esclusivo con il colosso di streaming.
Un grande flusso di coscienza
Pretend It’s A City, titolo originale della serie, non è una storiografia della città di New York, tantomeno una biografia della Lebowitz nel termine più tradizionale. Dipinge, piuttosto, un ritratto libero e frammentario dell’artista, derivante da interviste antologiche, stralci di public speaking e recenti Q&A. Nonostante i sette episodi siano suddivisi in capitoletti, ognuno con un argomento ben delineato, il tutto pare più un lungo e irresistibile stream of consciousness.
Martin Scorsese cuce assieme questi brandelli con una nuova conversazione, di cui è lui stesso moderatore. Telecamere sempre accese e nessuna formalità, come se lo spettatore fosse il terzo invitato durante un’intima chiacchierata tra vecchi confidenti.
Scorsese e la Lebowitz sono, infatti, amici di lunga data. Non sanno collocare temporalmente il primo incontro, ma rammentano i fiumi di parole che sgorgavano ogni volta che si incrociavano ad un party. Nel 2010, da questo connubio amichevole sboccia il documentario di Scorsese La Parola A Fran Lebowitz (Public Speaking), prodotto dalla HBO, che può considerarsi precursore della serie.
Lettrice per professione
Nata come columnist per importanti riviste, tra cui Interview di Andy Warhol, Fran Lebowitz esplode come autrice ad inizio degli anni ’80 grazie a due volumi di saggi comici, inediti in Italia, divenuti best seller.
Da decenni soffre del blocco dello scrittore, da lei rinominato blockade (block + decade), ma la sua voce ha continuato a dominare come opinionista tra le pagine di Vanity Fair e Newsweek, nonché in televisione, con un ruolo ricorrente in Law & Order, e al cinema. Tra i camei più recenti quello come giudice in The Wolf Of Wall Street.
Si proclama “lettrice per professione”. La sua collezione vanta oltre 10.000 libri, tutti acquistati presso librerie fisiche. Tratta i volumi come fossero esseri umani e sostiene il motto “il mondo è fatto di storie, non di atomi”. Nell’ultimo episodio della serie Servizi Bibliotecari, inveisce contro il magro destino che New York ha relegato alla cultura: “É offensivo vendere libri in un chiosco ambulante a Times Square”.
Riluttante alla tecnologizzazione, non possiede un PC per accedere ad internet e nemmeno uno smartphone. Le sue finestre sul mondo sono la strada, la metropolitana, l’ascensore, i ristoranti, i salotti culturali, i parchi urbani. Qualunque luogo frequentato da persone.
Una delle prime, innegabili, critiche che muove verso il popolo newyorkese è quello di essere sempre incollato ad uno schermo. Chi, oggi, camminando per la città si sofferma sulle targhe commemorative sparpagliate per i marciapiedi della metropoli?
Durante tutti gli episodi, la Lebowitz passeggia irrefrenabilmente per le strade della città, soffermandosi su luoghi di interesse (o di indifferenza), regalando decine di cartoline memorabili. Da annoverare anche le variegate scelte musicali che accompagnano queste immagini, che si tratti uno standard jazz nella tradizione più alleniana del genere, oppure un brano Motown.
Scorsese riesce, proprio attraverso la colonna sonora, a lanciare l’ennesima dichiarazione d’amore all’Italia, scegliendo il tema de La Dolce Vita, composto da Nino Rota, come traccia per i titoli di coda di ogni puntata.
“Esaspero le persone perché sono piena di opinioni”
C’è qualcosa di travolgente persino nelle avversioni e nelle contestazioni di Fran Lebowitz. La sua ironia e il suo sarcasmo rendono spassosa anche la critica più amara. Non è un caso che un’altra grande protagonista della serie sia la risata fragorosa e contagiosa dello stesso Scorsese.
Per la Lebowitz sono tutti santi e peccatori, nessuno trova scampo. Politica? Disastrosa, l’ex sindaco Bloomberg ha reso New York una città logora e malavitosa. Arte? Allestire una mostra di quadri sui cani nelle gallerie della metropolitana dev’essere stata opera di un sadico. Sport? Non lascia tracce eterne, è solo un divertimento estemporaneo. Mezzi di trasporto? Impossibile uscire da un taxi senza un attacco di cuore. Vacanze estreme? Alla gente piace porsi delle sfide, ma la vita è già una sfida difficile a titolo gratuito.
Insomma, verrebbe da chiedersi che cosa trattenga Fran Lebowitz a New York. Nonostante le lamentele continue, è innegabile l’amore che traspare per la sua città. Anche il look cosmopolita che la contraddistingue da anni (camicia da uomo, gemelli in bella vista, stivali da cowboy, occhiali tartarugati) è figlio di esperienze, storie e aneddoti legati alla città che non dorme mai.
In Fran Lebowitz: Una Vita A New York troverete tutto ciò di cui avete bisogno: storia, architettura, sociologia, letteratura, musica, arte, satira. In fin dei conti, cosa non c’è a New York?
“Pensa prima di parlare. Leggi prima di pensare”
– Fran Lebowitz