Woody Allen ha scritto e diretto 49 film, al ritmo di uno all’anno dal 1969. Le sue pellicole hanno guadagnato complessivamente 12 premi Oscar e opere come Io e Annie, Manhattan, Zelig, Match Point, Vicky Cristina Barcelona e Midnight In Paris lo hanno reso uno dei registi americani più amati e conosciuti di sempre.
Rifkin’s Festival, la sua ultima fatica, sarebbe dovuta uscire i primi di novembre 2020.
In attesa di ritrovarlo al cinema, abbiamo selezionato dieci titoli della sua smisurata filmografia che passano inosservati e che sono stati, ingiustamente, sottovalutati o dimenticati.
Interiors (1978)
1978. Dopo aver diretto sei commedie, Allen sente la necessità di cambiare registro. Con in mente le grandi tragedie del regista svedese Ingmar Bergman, suo idolo cinematografico, scrive il drammatico Interiors.
La protagonista (Geraldine Page) è una decoratrice d’interni, moglie indifferente e anaffettiva mamma di tre figlie (Diane Keaton, Kristin Griffith, Mary Beth Hurt). È una sceneggiatura quasi da camera, in cui prevale l’analisi psicologica delle tre sorelle e della madre che, nel memorabile epilogo, decide di compiere un estremo atto di disperazione.
Interiors non fece faville al box office e spiazzò gli spettatori, abituati a toni più leggeri da parte di Allen. Vale la pena di essere riscoperto per l’intensità delle interpretazioni, l’impeccabile regia e i minuziosi dettagli degli interni.
Va ricordato, inoltre, per essere il primo tentativo di scrittura drammatica da parte di un autore che ha sempre desiderato “elevarsi” a cineasta impegnato e che, ancora oggi, sogna di realizzare un capolavoro intimista.
Radio Days (1987)
Ispirato all’infanzia di Woody Allen, Radio Days è un flusso di ricordi, vignette e fantasie legate agli anni ’40, alla musica swing e al focolare domestico.
La radio, confidente onnipresente, accompagna le vicissitudini di una famiglia ebrea dei sobborghi newyorkesi. C’è chi balla il Lindy Hop, chi gioca al quiz musicale, chi sogna seguendo le dirette dalle sfarzose sale da ballo di Manhattan. Indimenticabile il momento in cui Orson Welles simula un’invasione aliena in suolo statunitense, creando panico tra il pubblico che non realizza di ascoltare uno sceneggiato radiofonico.
Radio Days è un tenero viaggio nella memoria e, proprio come l’Amarcord di Fellini, è una delle opere più personali e delicate del regista. Per questo, anche una delle più importanti.
Un’altra Donna (1988)
Allen si cimenta nuovamente con il genere drammatico. Una professoressa di filosofia (Gena Rowlands), attraverso il condotto dell’aria condizionata, ascolta le conversazioni tra una ragazza incinta (Mia Farrow) e il suo psicologo. Le confessioni della giovane e una serie di evocazioni faranno sorgere alla donna dei ripensamenti generali sulla propria vita.
I parallelismi con Il Posto Delle Fragole di Ingmar Bergman sono molteplici. Entrambi i protagonisti, due professori, si ritrovano a valutare più aspetti esistenziali attraverso una serie di flashback e ricordi. È presente anche una scena onirica che richiama fortemente quelle dell’autore svedese. Non è, quindi, un caso che il direttore della fotografia sia Sven Nykvist, lo stesso di Bergman.
Bollato come un film minore, in realtà possiede una grossa maturità di penna e la sentita performance della Rowlands rende giustizia ad uno dei personaggi femminili più complessi e travagliati dell’intera filmografia alleniana.
Ombre e Nebbia (1991)
È la storia di un omicidio in chiave comica dai tratti esistenzialisti. Un impiegato (Allen) viene costretto a dare la caccia ad uno strangolatore seriale in una nebbiosa e cupa cittadina, ma incappa costantemente in situazioni improbabili e personaggi singolari.
Allen gira in bianco e nero per omaggiare i capolavori dell’espressionismo tedesco degli anni ’20 e ’30. Sono presenti, infatti, richiami a Fritz Lang, Murnau, G.W. Pabst, ma anche alla letteratura di Kafka e, ancora una volta, a Bergman.
Per il film venne allestito un set di 2.400 m2, il più grande mai costruito in uno studios di New York. I film a cui si ispirava venivano completamente girati in interni e Woody Allen voleva replicare a pieno lo stile dell’epoca.
Oltre alla fotografia, basterebbe il cast d’eccezione (John Cusack, John Malkovich, Mia Farrow, Kathy Bates, Jodie Foster, Madonna) per considerarlo una perla irrinunciabile.
La Dea dell’Amore (1995)
Lenny (Allen) adotta un figlio assieme alla moglie (Helena Bonham Carter), ma un giorno decide di ricercare la madre biologica del ragazzo (Mira Sorvino), che si rivela essere una prostituta e attrice porno.
La peculiarità sta nell’utilizzo della formula della tragedia greca. La narrazione viene alternata da un coro greco che, attraverso il deus ex machina, balletti e rime, commenta di pari passo la trama.
Le scene corali sono ambientate in Sicilia, al Teatro Antico di Taormina. L’Etna, sullo sfondo, cominciò a fumare e Allen cercò di terminare le riprese il prima possibile per lasciare l’isola.
La Dea Dell’Amore è la prima (ed unica?) commedia scollacciata del regista. Mira Sorvino, che vinse l’Oscar per la sua spassosa interpretazione, è la vera mattatrice della pellicola e fa da perfetta spalla comica a Woody Allen. Assieme creano arguti teatrini comici infarciti di malizia.
Semplicemente irresistibile.
Tutti Dicono I Love You (1996)
Allen volle realizzare un musical con persone che “non sapessero cantare meglio di chiunque di noi sotto la doccia”. Non scritturò attori dotati vocalmente, in quanto era interessato soltanto alle emozioni suscitate dai brani.
La trama segue una famiglia borghese nelle varie stagioni dell’anno a cavallo tra New York, Parigi e Venezia. Presenti, tra gli altri, Julia Roberts, Edward Norton, Natalie Portman e Tim Roth.
Tutti Dicono I Love You è un calderone di tematiche e standard musicali amati da Woody, nonché un omaggio ai fratelli Marx e alla Golden Age di Hollywood. Rimane, soprattutto, l’unica occasione per vedere Woody Allen nei panni di cantante e ballerino.
Accordi e Disaccordi (1999)
Come già avvenuto con Zelig, Accordi E Disaccordi è girato in parte sotto forma di finto documentario. Segue le travagliate vicende del chitarrista jazz Emmett Ray durante i primi anni ’30. Interpretato da Sean Penn, il musicista naviga tra alcol e donne, schiacciato dal peso di non essere il migliore in circolazione.
La pellicola è liberamente ispirata ad uno dei grandi miti musicali di Woody Allen: Django Reinhardt. Sean Penn, che da tempo sognava di collaborare con il regista, imparò a suonare la chitarra appositamente per il film, in modo da accompagnare le registrazioni con le giuste note.
Woody si ritenne molto soddisfatto del risultato finale, soprattutto grazie alla perfetta ricostruzione degli ambienti dell’epoca da parte dello scenografo Santo Loquasto. “Grazie a Santo, il film sembrava realizzato in giro per gli Stati Uniti, mentre in realtà non lasciai mai Manhattan” affermò.
Accordi e Disaccordi fu un grosso fallimento al botteghino e finì presto nel dimenticatoio. Forse complice la passione personale di Woody per Reinhardt, rimane, invece, una delle sue prove più convincenti degli anni ’90.
Hollywood Ending (2002)
Il regista Val Waxman (Allen) diventa cieco per motivi psicosomatici. Non volendo perdere l’occasione di dirigere il film che dovrebbe segnare il suo ritorno, finge di vederci e continua a lavorare sul set.
È una pellicola esilarante, ricca di gag e con un risvolto autobiografico. Nel finale, il regista cieco riesce a terminare il suo film, che viene considerato un disastro in America, ma riscuote premi e successo in Europa. All’inizio del nuovo millennio, Woody era infatti più popolare nel vecchio continente che in madrepatria. Tendenza che, in un paio d’anni, lo avrebbe allontanato da New York, accettando di lavorare in città come Londra, Barcellona o Parigi.
Il film fu un flop colossale. Woody Allen stesso, ipercritico verso i suoi lavori, definì Hollywood Ending la peggior delusione della sua carriera. È, in realtà, un’opera pienamente nel suo stile e con un cast all’altezza (Téa Leoni, George Hamilton) e una premessa divertente.
Un motivo in più per rispolverarne l‘irresistibile ilarità.
Anything Else (2003)
Jerry (Jason Biggs), aspirante scrittore, è innamorato di Amanda (Cristina Ricci), ma il loro rapporto va incontro ad una monotona routine. Jerry trova in David (Allen) un mentore e, attraverso i suoi consigli “paterni”, tenta di sistemare la sua vita amorosa e professionale.
Anything Else è un confronto tra generazioni differenti su temi immortali come la filosofia dei sentimenti, la paura dei cambiamenti, il significato dell’esistenza e la sofferenza umana attraverso dialoghi brillanti e mai noiosi. Immancabili anche i riferimenti alla sessualità.
New York City torna protagonista con i suoi ristoranti chic, la pioggia imperterrita (ma romantica), i colori vibranti di Central Park e gli affollati marciapiedi. Pura quintessenza alleniana.
Un illustre fan della pellicola è Quentin Tarantino. L’acclamato regista di Pulp Fiction, nel 2009, ha inserito Anything Else tra i suoi film preferiti degli ultimi 20 anni.
Confidiamo nel giudizio di Quentin per una giusta rivalutazione.
La Ruota Delle Meraviglie – Wonder Wheel (2017)
Nell’autobiografia del 2020 A Proposito Di Niente, Woody elegge La Ruota Delle Meraviglie come il suo miglior film di sempre. L’opera ricevette, però, un trattamento crudele.
Venne rilasciata nel 2017, nel pieno delle polemiche legate al caso Harvey Weinstein e al movimento #MeToo. Tornarono a galla delle accuse, corroborate con nuove testimonianze, secondo le quali Allen avrebbe violentato la figlia adottiva Dylan Farrow all’inizio degli anni ’90. A seguito di questo polverone mediatico, la promozione del film venne annullata ed Amazon, che deteneva un contratto esclusivo con il regista, si rifiutò anche di distribuire Un Giorno Di Pioggia A New York l’anno successivo.
Kate Winslet, magnetica protagonista di Wonder Wheel, ha recentemente dichiarato di essersi pentita di aver lavorato con Allen. Proprio la Winslet, bramata da tempo da Woody (era stata la scelta iniziale per Match Point), regala qui una delle performance più riuscite della sua carriera. Spalleggiata da Jim Belushi e Justin Timberlake, veste i panni di una nevrotica cameriera in piena crisi esistenziale.
Influenzato dai drammaturgo Tennessee Williams (Un Tram Che Si Chiama Desiderio, La Gatta Sul Tetto Che Scotta), Allen elabora una sceneggiatura amara e pungente, con diversi elementi autobiografici. L’impeccabile direttore della fotografia Vittorio Storaro utilizza il colore in chiave poetica e cambia le luci nel corso delle scene per sottolineare le emozioni e stilizzare il dramma.
Un gioiello malamente bistrattato che necessita urgentemente una seconda opportunità.
Oggi, 1° dicembre 2020, Woody Allen compie 85 anni. Si ritiene un regista pigro e con poca disciplina, ma ha sempre dichiarato che non smetterà mai di scrivere nuove storie, senza badare al giudizio di nessuno, nemmeno quello dei suoi spettatori.
“Di vivere nel cuore e nella mente del pubblico non mi importa niente, preferisco vivere a casa mia.”
– Woody Allen