Elisabeth, Beth, Harmon non è un nome banale. Il suo volto non è banale. E l’interpretazione di Anya Taylor-Joy in The Queen’s Gambit tanto meno. Ipnotica. Sensualmente nascosta. Volutamente nascosta. Mai volgare. Mai. Direi regale. Tremendamente bella, perché fastidiosamente imperfetta. Buca lo sguardo di chi la osserva, incantevole.
Nel marasma di serie tv che i produttori sfornano e le piattaforme di streaming comprano e che in molti casi avremmo potuto anche fare a meno di vedere in catalogo, spicca e troneggia The Queen’s Gambit. Su tutte. E tutto.
E più che un “Gambetto di Donna”, la miniserie è un vero e proprio “sgambetto” a tutti i migliori prodotti usciti in questo devastato 2020. Li supera. Li doppia. Li annichilisce.
La serie targata Netflix è tratta dall’omonimo romanzo di Walter Tevis del 1983 ed è un capolavoro.
L’atipicità del biopic
Niente sesso. Niente violenza. Nessun effetto speciale. E già queste sono notizie. Pura e sola storia. Come la tv di qualche secolo fa. Sublime e trionfante sceneggiatura supportata egregiamente da una colonna sonora perfetta. Jazz, classica e i primi rockeggianti brani degli anni sessanta si amalgamano nelle scene colorando di realismo ogni evento subìto e scelta compiuta da Beth.
Ottimamente interpretata non solo dalla giovane statunitense, ma anche da un inaspettato Harry Edward Melling (già Dudley in Harry Potter) che, grazie e soprattutto ad un doppiaggio azzeccato che ne esalta il ruolo, inizia a farsi largo nella fossa dei leoni e colleziona una convincente performance dopo quella in The Devil all the Time.
Le sette puntate non sono altro che un biopic della protagonista, ma non scadono mai nella noia solenne e fastosa tipica del genere. La vita di Beth non è esaltante. E non è esaltata. Il personaggio, infatti, non è realmente esistito e, a parte per chi ha letto il libro, le tappe esistenziali di Beth sono un vaso di Pandora da scoperchiare con estrema delicatezza e saggia curiosità
Tutto è sommerso nell’ignoto. Chi è Beth Harmon?
La storia va sbrogliata passo dopo passo. Gli eventi vanno scoperti, gustati, vissuti uno per uno. Lentamente. Nessuno rimarrà deluso, perché la cronistoria non è costretta a seguire una cronologia di eventi già noti. La storia, invece, scorre via avvincente. Interessante. Coinvolgente.
In piena Guerra Fredda
Negli anni in cui l’America è alle prese con i lanci spaziali, una delle ultime frontiere della Guerra Fredda, The Queen’s Gambit descrive quella che era la media borghesia statunitense dell’epoca: le villette a schiera, i giardini dal prato falciato e la voglia matta e disperatissima delle studentesse di essere glamour.
Conditio sine qua non che è in primo luogo croce e delizia di ogni relazione. Si diventa ciò che si frequenta. Base culturale becera per l’accettazione di se stessi all’interno di un gruppo sociale. Se non rispettavi certi canoni, eri fuori dai più sconosciuti e inutili club e congreghe liceali. Che al tempo stesso rappresentavano (e rappresentano?) il vero, ignobile e discriminatorio tessuto sociale americano.
L’ossessione americana di combattere il comunismo passava anche da qui: da come ti vestivi, da chi andavi a fare la spesa, cosa compravi, quanto e cosa bevevi, quanto e cosa fumavi. Ogni minimo dettaglio della tua vita poteva essere usato contro di te. O a favore (non subito magari) come nel caso della giovane Harmon, grazie alla quale gli statunitensi scoprono che anche gli scacchi possono diventare un’arma contro il nemico di sempre: la Russia.
Fra istinto e determinismo
Orfana, probabilmente Asperger, cioè autistica ad alto funzionamento e priva di ritardi cognitivi, scopre negli scacchi la sua genialità. Che non diventerà mai la sua debolezza. Beth è determinata, ma mai aggressiva. E l’accentuata malizia in ogni suo gesto, frase e sguardo le garantisce una potente corazza contro gli altri. Potente, ma non indistruttibile. Beth è una forza della natura quando non sconfina mai dalla sua comfort zone, gli scacchi, ma appena ne esce l’animo si sgretola con non poca difficoltà.
È tanto un prodigio quanto un’imbranata partner e compagna di merende. Splendida.
Dalla povertà di un orfanotrofio, Beth Harmon vive, pianifica e si immedesima perfettamente nel sogno americano. Come ogni uomo o donna plagiati dalle illusorie ricchezze del nuovo mondo. Ma per lei e per chiunque altro che non sia già benestante di nascita e con la strada spianata, le cose sono un po’ più complicate. Deve farsi strada non solo fra i suoi simili (umani intendo), ma soprattutto tra le paure e le fragilità del suo animo ferito e plasmato da un evento terribile.
La pietà e la pena apparentemente suscitate dalla condizione di Beth rimangono superficialmente un mero giudizio estetico, qualora non ci si accorgesse di quanto il determinismo sia al centro della serie. Tutto quello che Beth vive nel suo presente è stato causato da ciò che ha vissuto nel suo passato. Ogni scelta fatta e compiuta è una logica conseguenza del principio di causa ed effetto.
La vita di Beth è una continua lotta contro l’equilibrio imposto dalla società. Beth non si aspetta di perdere le sue partite di scacchi, non è contemplata la sconfitta, neanche contro i più forti giocatori del mondo, perché si fida del suo istinto. Nemico giurato ed atavico del determinismo. Ma crede anche nella consequenzialità delle mosse, sempre accurate, studiate, analizzate, memorizzate, ripassate… insomma perfette.
Puro essere umano pensante.
Gli eccessi aiutano
Beth vince e stravince la sua personale partita a scacchi contro le proprie debolezze alienandole dalla realtà, rendendole punti di forza invincibili che si autoalimentano con intelligenza e furbizia. Il suo istinto fantasmagorico, arricchito da un genio raro e paradossalmente rafforzato dal consumo di alcol e tranquillanti, assorbe l’esperienza di vita vissuta, da cui Beth trae pura e limpida conoscenza.
Beth più cresce, più pensa e più vince.
Il suo sogno è la sua ossessione. Un’ossessione, però, che non distrugge, ma alimenta speranza. Una speranza che si assapora ad ogni puntata e che cresce di qualità e di pari passo con la storia, mai uguale a se stessa, perché Beth non è mai uguale a se stessa. Non è mai la stessa persona della puntata precedente.
The Queen’s Gambit: Il fiore più bello del 2020
The Queen’s Gambit non perde di intensità con lo scorrere del tempo, non invecchia e non si autodistrugge. Il lavoro è completo dall’inizio alla fine, nessun espediente o colpo di scena inaspettato è stato usato per tirare su l’attenzione, perché non ce ne è bisogno. Beth Harmon è un blocco unico con la sua ambizione, atipico ed estraneo per l’era in cui vive e per il mondo che lo circonda.
È un essere in continuo divenire secondo schemi non convenzionali, anticonformisti, guidato da mosse e contromosse studiate a tavolino, mai lasciate completamente al caso, neanche quando è l’istinto a dettare legge. E agli americani che la conoscono e si imbattono nella sua mente geniale, tutto questo affascina. E in breve tempo se ne innamorano.
Come chi l’ha semplicemente vista da dietro un tablet.
La serie si rinnova continuamente e non appassisce mai: da un piccolo seme interrato orfano e solo, sboccia lentamente, ma sano e fiero, il più bel fiore del 2020: Elisabeth, Beth, Harmon… pardon Anya Taylor-Joy.