Benvenuti alla quinta parte della nostra selezione di classici!
Ecco a voi alcuni titoli che hanno fatto la storia del cinema internazionale, assolutamente consigliati perché hanno saputo imprimersi nella memoria collettiva divenendo, nel tempo, veri e propri cult!
Il Padrino, del 1972
Celeberrimo film drammatico di gangster del 1972 liberamente ispirato al romanzo di successo omonimo di Mario Puzo del 1969. Primo di una trilogia diretta da Francis Ford Coppola, che racconta le vicende della famiglia mafiosa dei Corleone.
Oltre alla leggendaria interpretazione di don Vito Corleone da parte parte di Marlon Brando, nel cast corale troviamo attori di altissimo livello e talento: Al Pacino, James Caan, Robert Duvall, John Cazale, Richard S. Castellano, Gianni Russo, Talia Shire e Diane Keaton.
Come in altri casi, quest’opera non ha ricevuto tutti i premi che avrebbe meritato, ma nel 1973 ha comunque avuto i suoi riconoscimenti, vincendo tre Premi Oscar: come Miglior Film ad Albert S. Ruddy, Miglior Attore Protagonista a Marlon Brando e Migliore Sceneggiatura non originale a Francis Ford Coppola e Mario Puzo.
Oltre a questi, si annoverano ben cinque Golden Globe, come Miglior Film Drammatico ad Albert S. Ruddy, Migliore Regia a Francis Ford Coppola, Miglior Attore in un Film Drammatico a Marlon Brando, Migliore Sceneggiatura a Francis Ford Coppola e Mario Puzo e Miglior Colonna Sonora Originale a Nino Rota.
Oltre a rilanciare la carriera di Marlon Brando e la situazione economica della Paramount Pictures, questo film ebbe un enorme impatto culturale guadagnando cifre incredibili per l’epoca nei cinema di tutto il mondo.
Nel 2008 l’American Film Institute (AFI) l’ha inserito al secondo posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, è anche al secondo posto anche nella classifica dell’Internet Movie Database, mentre la rivista Empire lo considera come il film più bello di tutti i tempi, al primo posto in un elenco di cinquecento.
Il personaggio principale di questo film è don Vito Corleone, capo di una delle famiglie mafiose più potenti di New York tra gli anni ’40 e ’50.
La sua organizzazione gestisce un enorme giro di affari illegali e in queste attività sono coinvolti i due figli Santino e Fredo e il figliastro Tom Hagen.
Nella trama i problemi iniziano quando don Vito nega il suo appoggio ad un trafficante di droga affiliato ad un’altra famiglia newyorkese, facendo così partire una faida sanguinaria, con ripetuti tentativi di uccidere i rispettivi boss.
L’unico componente della famiglia Corleone a non essere coinvolto nelle attività illegali è Michael, figlio di don Vito e soldato decorato della Seconda Guerra Mondiale, il quale, però, interviene quando scopre che il padre ha subito un attentato.
Dopo aver ucciso i responsabili in un ristorante nel Bronx, Michael scappa in Sicilia dove conosce e sposa Apollonia, che muore in un incidente pochi mesi dopo.
Intanto negli Stati Uniti, dopo la morte del figlio Santino, don Vito convoca un incontro tra i capi delle principali famiglie mafiose per contrattare una tregua.
Grazie al nuovo accordo Michael può tornare in America e prendere il posto del fratello nell’organizzazione di famiglia. Dopo qualche tempo il padre gli lascia il potere e si ritira.
Nello stesso periodo Michael sposa Kay Adams, da cui ha un figlio, Anthony.
Nel 1955 muore don Vito Corleone e le famiglie newyorkesi propongono un nuovo accordo di pace che in realtà nasconde un tentativo di assassinio ai danni di Michael.
Questo, grazie agli insegnamenti del padre, anticipa i suoi nemici uccidendo tutti i capifamiglia avversari e le persone che lo avevano tradito in passato.
Mentre i Corleone si preparano per trasferirsi in Nevada, a Las Vegas e a Reno, dove il gioco d’azzardo, tradizionale attività familiare, si sta espandendo in forma apparentemente legale, vediamo nell’ultima scena i capifamiglia che omaggiano Michael come nuovo padrino.
8 e mezzo, del 1963
Da molti considerato sia il capolavoro di Federico Fellini, il quale ha curato la regia e in parte la sceneggiatura e il soggetto, sia uno dei migliori film di tutti i tempi, molto avveniristico per il suo tempo e fonte d’ispirazione per generazioni di registi.
Questo film del 1963 è diviso tra dramma e commedia con tratti grotteschi e fantastici.
Nel cast troviamo Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Anouk Aimée e Sandra Milo.
La storia, ovviamente autoreferenziale e meta-cinematografica, ha per protagonista Guido Anselmi, regista di mezza età alle prese con un blocco dello scrittore per il suo prossimo film.
Per cercare di “sbloccarsi”, egli trascorre un periodo di relax alle terme dove anche la sua stanchezza cardiaca può migliorare. Ma lo stress lo insegue e peggiora quando sia la moglie che l’amante lo raggiungono.
Guido viene continuamente interrogato sul film dalla troupe che soggiorna nello stesso albergo e, messo alle strette, cerca di inventare un accenno di trama: una vicenda a metà tra realtà e fantasia, ricordi e fatti quotidiani che si mescolano e non si distinguono.
Il film continua esattamente in questo modo con salti di fantasia e ricordi che si intervallano con la realtà. Nei giorni seguenti il produttore indice una conferenza stampa dove Guido dovrà finalmente esporre la sua idea.
Ma, sempre più confuso e indeciso, il regista abbandona il progetto per la disperazione.
Mentre la troupe sta sbaraccando e ormai sembra tutto finito, nella mente di Guido comincia a delinearsi una visione di cui fanno parte tutti i suoi collaboratori e le persone a lui care.
Ognuno di loro, infatti, è in qualche modo parte di lui.
Nell’ultima scena tutti questi personaggi ballano in un girotondo intorno al regista che li dirige e che si rivede bambino, avendo riacquistato finalmente l’innocenza e la gioia di vivere.
Insieme a molte altre onorificenze questo film ha vinto due statuette ai Premi Oscar del 1964 come Miglior Film Straniero e Migliori Costumi a Piero Gherardi.
Inoltre è stato selezionato tra “I 100 film italiani da salvare” e nel 2008 la rivista Empire lo ha inserito al 51º posto nella lista dei 500 migliori film della storia ed è uno dei dodici film preferiti di sempre di Martin Scorsese.
Vacanze Romane, del 1953
Commedia romantica americana del 1953 diretta e prodotta da William Wyler e interpretata da Gregory Peck e Audrey Hepburn.
Nei primi mesi di diffusione il film ha guadagnato 3 milioni di dollari ai box office statunitensi e canadesi e questo successo ha portato al progetto per un sequel che però non ha mai visto la luce.
Ai Premi Oscar del 1954 Vacanze Romane ha ricevuto ben 10 nomination vincendo tre statuette per la Miglior Attrice Protagonista a Audrey Hepburn, per il Miglior Soggetto a Dalton Trumbo e per i Migliori Costumi a Edith Head.
Questo film ha reso famose nel mondo Audrey Hepburn, che precedentemente aveva interpretato solo ruoli marginali in alcune produzioni britanniche, e la Vespa Piaggio, di cui vediamo il primo modello e che è ormai un pezzo di storia italiana.
La trama del film inizia con la visita a Roma della principessa Anna, proveniente da una nazione non meglio specificata, la quale, stufa degli impegni ufficiali, lascia di nascosto l’ambasciata e visita la città come una persona qualunque.
A causa dell’effetto ritardato di un sedativo la principessa si addormenta su una panchina dove viene trovata, ma non riconosciuta, da Joe Bradley, un reporter statunitense che lavora per un’agenzia di stampa a Roma.
Non riuscendo ad aiutare la giovane a tornare a casa e credendola ubriaca Joe la porta nel suo appartamento e la lascia dormire. La mattina dopo, al lavoro, Joe capisce la vera identità della ragazza e, grazie ai colleghi, organizza segretamente una lunga intervista con tanto di fotografo che gli frutterà ben 5000 dollari.
Ma il piano va in fumo quando la principessa, celando la sua identità e dicendo di chiamarsi Anya Smith, decide di continuare la sua visita della città in solitaria.
Nonostante questo, Joe non si perde d’animo e in seguito riesce a convincere Anna a farsi accompagnare, dopo averla “casualmente” incontrata sulle scalinate di piazza di Spagna.
Dopo essere stati ad un bar dove si unisce a loro il fotografo amico di Joe, i due girano per Roma nelle scene più famose di questo film, tra cui la corsa in Vespa e la visita alla Bocca della Verità, scena peraltro completamente improvvisata dai due attori in quanto non preventivata, infatti lo spavento della Hepburn e i tentativi di aiutare Gregory Peck sono reali.
La sera, mentre sono ad una festa organizzata su di una barca sul Tevere, degli agenti assoldati dall’ambasciata vedono la principessa e cercano di portarla via con la forza.
Scoppia così uno scontro da cui Joe e Anna riescono a fuggire e, dopo questi avvenimenti, i due si lasciano trasportare dai sentimenti che ormai provano reciprocamente.
Purtroppo la giornata è finita e Anna sa che deve tornare ai suoi doveri ufficiali. Joe la accompagna all’ambasciata dove si scambiano un ultimo bacio e si dicono addio.
Nonostante i suoi doveri di giornalista e la grossa ricompensa Joe decide di non pubblicare l’intervista e alla conferenza stampa della principessa assicura ad Anna che la loro giornata insieme rimarrà privata.
Nella scena finale i due si salutano un’ultima volta e tornano alle loro rispettive vite di giornalista e principessa.
Biancaneve e i sette nani, del 1937
Parliamo del primo film d’animazione prodotto negli Stati Uniti d’America, il primo a essere realizzato completamente a colori, il primo lungometraggio prodotto dalla Walt Disney Productions e, di conseguenza, il primo Classico Disney.
Film d’animazione musicale e fantasy del 1937 diretto da David Hand e basato sull’omonima fiaba dei fratelli Grimm.
Diffuso per la prima volta nei cinema statunitensi nel febbraio del 1938, è stato un immediato trionfo di critica e di pubblico, guadagnando 8 milioni di dollari e raggiungendo per un breve periodo lo status di film sonoro di maggior successo.
Questo ovviamente ha portato a molte ulteriori proiezioni, fino all’uscita della videocassetta nel 1994.
Alla serata degli Oscar nel 1939 Walt Disney ha ricevuto un Premio Oscar onorario per la realizzazione di Biancaneve e i Sette Nani “per la significativa innovazione che ha affascinato milioni e ha aperto la strada ad un nuovo grande campo dell’intrattenimento“.
Il Premio è unico nel suo genere in quanto formato da una statuetta grande e sette più piccole ed è consegnato dall’attrice bambina più amata di sempre, Shirley Temple.
L’American Film Institute ha inserito il film nella lista dei 100 Migliori Film Americani e nel 2008 lo ha nominato Miglior Film d’Animazione americano di tutti i tempi.
Il successo di questo primo Classico e i conseguenti guadagni hanno portato la Disney a investire maggiormente in questo tipo di prodotti, creando un nuovo studio a Burbank dove negli anni successivi sono stati creati capolavori del livello di Pinocchio, Fantasia, Dumbo, Bambi, Alice nel Paese delle Meraviglie e Peter Pan.
La realizzazione di questo film è stata lunga e complicata, partendo dalla differenziazione rispetto alla fiaba classica per poi passare alla caratterizzazione dei singoli personaggi e la creazione delle musiche.
Sono state usate nuove tecniche, infatti Biancaneve e i Sette Nani è il primo lungometraggio in rodovetro della storia del cinema, un particolare procedimento con un foglio trasparente in acetato di cellulosa usato per ogni singolo frame del cartone animato.
Il design dei personaggi principali è stato un lavoro impegnativo, concentrato soprattutto su Biancaneve, che inizialmente assomigliava molto a Betty Boop, un personaggio dei cartoni allora assai popolare, ma che è stata resa più realistica nei bozzetti successivi, ispirandosi ad un volto molto in voga sulle cronache mondane dell’epoca: quello di Wallis Simpson.
Mentre i nani costituivano la parte ironica, ma dovevano essere ben caratterizzati per essere facilmente distinguibili l’uno dall’altro, a differenza della fiaba originale, nella quale non hanno nemmeno dei nomi.