The Haunting è un progetto di natura antologica avviato da Netflix ad opera del regista Mike Flanagan, che attualmente conta due capitoli: Hill House e Bly Manor, quest’ultimo uscito lo scorso 9 ottobre.
Si tratta di due serie composte rispettivamente da dieci e nove episodi, entrambe di ottima qualità complessiva.
Mike Flanagan: Come si trasforma un libro in una serie
Il progetto di Flanagan è quello di creare delle serie horror per la tv partendo da romanzi del genere.
Anche se, in realtà, si tratta di libere interpretazioni, com’è successo per Hill House dal cui libro – L’incubo di Hill House, di Shirley Jackson – sono stati trasposti solamente i nomi dei protagonisti e la cornice inquietante della villa, per creare un prodotto – di fatto – totalmente diverso dall’idea originale della scrittrice.
Molto simile è stato il caso di Il giro di vite – titolo originale “The turn of the Screw” – , novella del 1898 da cui è tratto il secondo capitolo della serie.
Il racconto di Henry James era già stato riadattato per la televisione in molteplici occasioni, tra film e serie tv. Si è persino sconfinati in ambito radiofonico, con un radiodramma realizzato da Radio 3 nel 1976, e in quello del teatro, con il musical omonimo prodotto da Benjamin Britten, per finire in bellezza con l’adattamento a fumetti del maestro Crepax.
Dunque, per il regista di The Haunting era assolutamente necessario creare una storia che fosse sì “nuova”, riadattata secondo il suo stile, ma che mantenesse le atmosfere originali e la forza evocativa del racconto di James.
Missione portata a termine con successo, secondo il nostro modesto parere.
The Haunting e l’arte di elevare il banale
La costante, di questi primi due capitoli e presumibilmente anche dei prossimi, è il concept di una casa infestata da spiriti che si trovano a dover interagire con i protagonisti, spesso con conseguenze spiacevoli – com’è facilmente intuibile – .
Chi di voi, amanti degli horror, non ha già sentito questo tipo di scelta per un film dell’orrore almeno un centinaio di volte?
Ma è qui che The Haunting compie la magia, partendo da una base quanto più scontata possibile per arricchirla, poi, di intrecci da lasciare senza parole.
Le serie di cui si compone, infatti, non si concentrano tanto sugli spiriti, né sui fenomeni paranormali che una casa infestata porta con sé – come, ad esempio, i poltergeist – bensì sulle storie.
Ogni individuo ne ha una da raccontare, dunque ciascun fantasma ne porta gli eco dentro di sé.
Ed è un po’ la seconda particolarità della serie: quelle che inizialmente sembrano oscure presenze messe lì unicamente per spaventare lo spettatore, alla fine si rivelano cruciali per la trama e portatrici di messaggi importanti.
Emblematico il caso della donna senza volto di Bly Manor, al cui passato è dedicato un intero episodio verso le battute finali della serie, che rivela quanto, in realtà, sia dentro ai fatti fino ad allora presentati.
Bly Manor e Hill House a confronto
Impossibile non riscontrare elementi in comune tra i primi due capitoli di questa serie antologica.
E non solo per quanto riguarda gli attori Victoria Pedretti – che qui veste i panni della protagonista Danielle –, e Oliver Jackson-Cohen – che è uno degli ex-inquilini della magione –, che ci fa ovviamente piacere rivedere.
Iniziamo con il dire che, nel fare il paragone, il premio per la serie più spaventosa va senza dubbio ad Hill House. Bly Manor risulta, invece, più simile ad un thriller, certamente con sfaccettature al limite dell’orrore, ma questa volta “i mostri” sono in numero minore, in favore, piuttosto, di vicende e sentimenti umani.
Detta in altre parole: Bly Manor tocca di più il cervello e Hill House maggiormente il cuore, facendolo sobbalzare.
Un’altra cosa che si può ritrovare – e apprezzare – in ambo le serie è il particolare concetto di tempo che ci viene mostrato.
Esso è tutt’altro che lineare per lo spettatore che osserva, tanto quanto lo è per i protagonisti in campo.
Le coscienze saltano all’indietro, in accadimenti passati e addirittura in accadimenti che non le riguardano direttamente, salvo, poi, arrivare al punto conclusivo, nel momento in cui la trama lo richiede.
La domestica di colore di Bly, ad esempio, ci viene presentata per la prima volta davanti ad un pozzo – nella scena in cui Danielle la conosce –, ma sembra avere una certa consapevolezza dei fatti che la riguardano, che in quel momento della storia, in teoria, non dovrebbe avere.
Solo in conclusione si capisce il motivo del suo “essere assorta” davanti a quel pozzo.
Tutte queste analogie fra le due serie, comunque, non dispiacciono affatto. Sono ciò che ha reso bello e vivo Hill House e sono anche ciò che rende altrettanto bello e vivo Bly Manor.
Un volto già noto ai più
Oltre alla Pedretti e a Jackson-Cohen, un altro attore che possiamo ritrovare sia in Hill House che in Bly Manor è Henry Thomas, che in quest’ultimo mantiene il proprio nome interpretando Henry Wingrave, il facoltoso zio dei piccoli protagonisti.
Il sopracitato non è nuovo a film di genere horror e thriller, anzi, possiamo dire che sguazzi nella fantascienza sin da quando aveva 11 anni.
Ebbene sì, perché Thomas ha esordito nel cinema proprio in una pellicola sci-fi, un film che tutti voi conoscerete senza ombra di dubbio.
In E.T. – l’extraterrestre interpretava niente meno che Elliot, il ragazzino che si prende cura dell’alieno.
Un po’ difficile da riconoscere 38 anni dopo, no?
Consigliatissimo
Non abbiamo paura di esporci: The Haunting è un prodotto che va visto.
Se Hill House aveva già convinto gran parte della critica e del pubblico, con Bly Manor abbiamo continuato sugli stessi binari.
Questo ci regala la concreta speranza di poter aumentare presto la velocità, senza il timore di finire fuori strada.
E, d’altronde, perché non continuare a confidare nelle potenzialità di Flanagan, che per il cinema ha già girato film del calibro di Ouija-Le origini del male, Il Gioco di Gerard e il recente seguito di Shining Doctor Sleep?
E voi, state apprezzando questa serie antologica? Quale dei due capitoli vi ha convinto di più?
Ditecelo nei commenti!