fbpx
HomeRecensioniRecensioni Serie TVThe Man in the High Castle: La Storia Si Scrive Con I...

The Man in the High Castle: La Storia Si Scrive Con I “Se”

Il nuovo mondo diviso dai vincitori

La storia non si scrive con i se e questo ce lo hanno sempre detto, eppure è proprio partendo da un se che la storia può essere riscritta: E se i nazisti avessero vinto la Seconda Guerra Mondiale?

È questa la premessa per creare un “passato distopico” – mi si passi la licenza poetica – principio cardine di The Man in the High Castle, una serie edita da Prime Video, conclusasi con la quarta stagione nel novembre 2019 e basata sul libro “La Svastica sul sole” (1962) di Philip K. Dick.

Alla domanda posta nella premessa, la serie da’ una chiara risposta: siamo nei primi anni sessanta e il mondo si presenta spartito tra l’impero nazista tedesco e quello giapponese, vincitori della guerra mondiale per l’appunto. Tra i loro confini vi sono alcune zone cuscinetto chiamate zone neutrali, dove chi vi abita può dirsi fuori dalla giurisdizione delle due parti ma al contempo non benvisto da nessuna di esse.

Le zone neutrali servono soprattutto come garanzia per i due imperi, che ben presto scopriamo essere sul chi va là nei reciproci confronti. La pace tra le due superpotenze non è certo dettata dalla stima e l’alleanza dell’Asse sembra essere tutt’altro che salda e sicura.

Questo è uno dei tanti elementi che vengono affrontati nel corso delle stagioni e contribuisce a mettere nel pentolone un ingrediente davvero insaporente (forse sto abusando della licenza poetica quest’oggi).

The Man in the High Castle: un Telefilm tra Storia e Fantascienza

Quanto detto fin qui porta a pensare che la serie appartenga esclusivamente al genere storico, relegato al cosiddetto filone dell’ucronia (un genere letterario che ha come impostazione un corso alternativo della storia da tutti conosciuta), ma sarebbe un errore farlo. Nonostante l’impronta sia ovviamente storica per necessità di tematiche, essa ha al contempo elementi fantascientifici e le due parti coesistono come due metà di una mela, combinate alla perfezione.
Come presto i protagonisti scoprono, infatti, la realtà che conoscono non è l’unica esistente ma anzi ce ne sono molteplici e alcune ben diverse da quella in cui vivono (e molto più familiari a noi), dove gli Alleati hanno sconfitto il nazismo.

Tutto parte da questa scoperta, quando Juliana Crane (Alexa Davalos) e il suo compagno Frank Frink (Rupert Evans), nel loro appartamento in San Francisco (in quegli anni sotto il dominio giapponese) si ritrovano davanti gli occhi immagini in super8 della vittoria alleata, qualcosa che non si è mai verificato. I filmati sono le uniche testimonianze della pluralità di universi, qualcosa che i tedeschi vogliono ovviamente distruggere e che al contrario la Resistenza usa per la propria propaganda. E qui mi fermo, poiché temo di aver anticipato anche troppo.

Nelle quattro stagioni di The Man in the High Castle c’è un intero microcosmo in cui entrare non è per niente difficile grazie ad una regia impeccabile coadiuvata da un’ottima fotografia.

La serie non risulta mai lenta o noiosa e coinvolge lo spettatore nella sua pluralità di personaggi e di trame. Trame, per altro, mai banali, che si evolvono così come si evolvono i protagonisti che le vivono.
I personaggi di TMITHG cambiano mentalità, modi di agire e rapporti interpersonali senza che nessuno venga snaturato o si allontani troppo dalla strada per lui scritta dagli autori inizialmente.

Insomma, all’alba dell’ultima puntata mi sono seriamente trovato a chiedermi se questa serie avesse dei punti deboli, delle imperfezioni, dei buchi di trama.
E invece no amici filmaniaci, per me questa serie non ha difetti o almeno non difetti degni di nota.

Il generale del Reich, John Smith (Rufus Sewell) con il nuovo Fuhrer.

Ciliegina sulla torta, essendo questa una caratteristica che nei telefilm apprezzo molto: non risparmia dipartite importanti. Nessun personaggio gode della fastidiosa plot armor, tutti possono morire o restare mutilati e anche quando qualcuno si salva o viene salvato, questo non accade mai fuor di logica.

The Man In The High Castle: Conclusione

E poi c’è il finale, quell’elemento che spesso rovina o al contrario salva un’intera opera. Oppure, altre volte ancora come in questo caso, non delude ma neanche gratifica.

È semplicemente un finale che resta coerente con il viaggio che ci ha portato sino a lui e su cui al massimo si può pensare: “io, però, l’avrei fatto finire in un altro modo” senza comunque poterlo effettivamente contestare per come è stato canonicamente realizzato.

Tirando le somme, The Man in the High Castle supera l’anno con una pagella impeccabile. Una serie che consiglio a tutti, in particolar modo agli amanti della storia contemporanea.

Valerio Cioccolini
Valerio Cioccolini
Vi piacciono le serie tv? Andremo d'accordo. Non vi piacciono? Beh...andremo d'accordo ugualmente.

LEAVE A REPLY

AlphaOmega Captcha Cinematica  –  What Film Do You See?
     
 
Please enter your name here

Ultimi Articoli

error: Il contenuto è protetto!