Dopo ingloriosi anni di imbarazzanti amori adolescenziali e gote rosse liceali, Dracula, l’unico, il solo, l’inimitabile vampiro succhia-sangue dell’universo conosciuto, riabilita se stesso e si riprende a titolo definitivo il peso dell’eredità culturale e letteraria di cui un folle irlandese ne tramandò i segreti ormai 123 anni fa.
La leggenda si riappropria del mito, il mito riacquista la veridicità di cui la storia è custode e i vecchi racconti chiudono, finalmente, il ciclo delle favole della buonanotte tornando a fare il loro sporco ma ineluttabile dovere: paura.
Non ci voleva un genio per ridare dignità al cattivo più cattivo della tv, del cinema e della letteratura dopo le violenze e i soprusi americani subìti, ma solo un genio, anzi due, potevano farlo in questa serie: bella, ma incompleta.
Mark Gatiss e Steven Moffatt, gli autori inglesi – ma guarda un po’ – di Jekyll e Sherlock per intenderci, non bazzecole quindi, approfittano di Netflix e fanno vedere ai giovani illusi cosa vuol dire essere un vampiro oggi.
E non è stato scontato prendere come punto di riferimento proprio quel Dracula da cui tutto è iniziato, quello di Bram Stoker, l’originale insomma, il punto zero, perché ogni poetica, ogni trama e concetto sviluppati nella serie sono le stesse trame, poetiche e concetti raccontati nel libro.
La serie non è la trasposizione cinematografica del romanzo però, tutt’altro, alcuni elementi del libro sono sì presenti nelle tre puntate (Harker, Mina, Van Helsing non Abraham, ma Agatha, genio in gonnella, anzi in saio da suora, il Demeter ecc), ma presentati in una veste diversa, sono lì con uno scopo diverso.
I protagonisti non subiscono più gli eventi di una storia predefinita, raccontata attraverso i loro occhi, ma diventano strumenti e tappe di un’evoluzione di un personaggio, quello di Dracula, che alla fine rivelerà avere segreti e debolezze mai nemmeno sognati dall’immaginario collettivo. Vulnerabilità inconsuete in un vampiro, abituati a vedere solo il mostro e mai il dannato – o condannato -.
Fragilità che il Conte si porta dietro da secoli, che già Stoker accenna e cheta ruotare intorno alla figura di Mina, ma che Gatiss e Moffatt accentuano e sottolineano come processo di evoluzione e sviluppo di un personaggio letterario che aveva bisogno sì di riprendersi la fama di malvagio, ma che ad oggi doveva dare segno anche di una certa maturità proporzionata ai tempi.
Dracula il vampiro, non come personaggio, ma come figura letteraria, deve fare i conti con il nostro mondo, quello di oggi.
Se dunque nel libro il Conte fa solo da sfondo alle vicende dei protagonisti, nella serie Netfilx è Dracula stesso il fulcro della storia e le trame sviluppate da Gatiss e Moffatt rispecchiano l’intimità di un uomo dannato in eterno che combatte contro tutti e contro se stesso, il tempo e i pregiudizi di chi, a differenza di suor Agatha (così come nel libro Abraham Van Helsing), lo giudica solo come un malvagio demone e non come un degno avversario.
L’avvocato Harker (John Hefferman), la spaesata e un po’ inutile Mina (Morfydd Clark) e una magnifica suor Agatha Van Helsing (Dolly Wells), sono solo tre ostacoli che separano Dracula (Claes Bang) dal suo chiliastico scopo.
Ecco, lo scopo. Quale sia per la verità non si capisce bene, nel senso che potrebbe essere qualsiasi cosa: conquistare Londra, diventare il vampiro più potente del mondo (non lo è già?), uccidere chiunque gli si pari davanti oppure di poter avere la possibilità di redimere l’ultimo scampolo della sua anima martoriata.
Un po’ blasfemo come fine, difficile da credere, forse falso, ma quando si arriva alla fine della terza puntata il dubbio affiora.
Il Dracula di Gatiss e Moffatt non è solo il mefistofelico diavolo della letteratura, non è solo pura malvagità, non è solo sangue e violenza: tutto ciò rappresenta per il Conte solo l’unico strumento che lui possiede e che conosce per giungere alla verità.
Il male e il bene nella serie sono ben mescolati insieme non come valori assoluti, ma come prospettive di questo o di quel personaggio.
Il sangue è vite
Il tutto inizia in Ungheria nel 1867, in un convento in cui suor Agatha e la povera Mina travestita anch’essa da suora ascoltano il racconto di Jonathan Harker, suo fidanzato che non la riconoscerà, rimasto prigioniero nel castello del Conte Dracula per diverso tempo.
Dracula si nutre di Harker a sua insaputa durante le notti e prosciugandolo riacquista vigore, forza, giovinezza, si impossessa praticamente della sua vita. Anzi vite, “il sangue è vite” dice il Conte e l’intuizione di suor Agatha va al di là di un innocuo non sense sintattico, perché capisce che per Dracula bere sangue e non vino gli consente di aumentare il proprio potere, nel bene e nel male.
Si perché bevendo fino all’ultima goccia di sangue della vittima, il vampiro ne assorbe ogni desiderio, paura, sogno, orrore ed incubo; oltre che rafforzarsi fisicamente, sempre che il malcapitato sia sano di corpo.
Dracula è quindi tutte le sue vittime. Fra queste anche l’avvocato Harker, che racconta con dovizia di particolari il suo soggiorno a castello. E se Mina rimane sconvolta dalle parole del suo fidanzato chiedendo aiuto a Dio e alla fede, suor Agatha le risponde che la “fede è un placido sonnifero per bambini e sempliciotti”, commovente aggiunge, ma è lì perché “come molte donne sono intrappolata in un matrimonio senza amore e mantengo le apparenza per ragioni di sicurezza”.
Per Agatha Dio è la miglior copertura per poter continuare a combattere e studiare Dracula. Van Helsing non vuole aiutare Harker, lui è già condannato essendo stato a sua insaputa trasformato in non morto, ma il vero scopo di Agatha è reperire ogni informazione utile alla sua battaglia anche da chi, lacerato da Dracula, ancora ha un barlume di umanità e che è stato testimone diretto della potenza di un vampiro.
Come succede spesso nelle opere di Gatiss e Moffatt, i dialoghi sono semplicemente geniali, talmente ricchi di significato che viene voglia di riavvolgere il nastro, pardon tornare indietro e riascoltarli di nuovo.
Il tutto condito e immerso in un’atmosfera gotica degna dei migliori romanzi ottocenteschi.
La prima puntata che si chiama “Le regole della bestia” è praticamente un capolavoro. Dracula convince Agatha che porrà fine alla vita di Harker (i non morti non possono suicidarsi) se lo farà entrare nel convento: il Conte uccide tutte le suore presenti, tranne Agatha e Mina verso le quali si avvicina minacciosamente.
I tre episodi, ognuno lungo quanto un film, non hanno punti di trama continuativi, la seconda (Veliero di Sangue) si svolge all’interno del veliero Demeter che porta Dracula a Londra (come nel romanzo).
Ed è qui, in mezzo al mare, che Dracula fa sfoggio della sua immensa crudeltà. L’ambientazione rimane gotica, ma la trama assume tinte horror. Il Conte uccide tutti i passeggeri della nave (appositamente scelti da lui) tranne uno, quello della cabina numero nove, verso il quale nutre una particolare attrazione: è suor Agatha.
La prosciuga come ha fatto con Harker, assorbendone i pensieri, ma la tiene in vita come l’aguzzino che si appassiona alla sua vittima. In questo episodio si assiste al sadismo del Conte, privo di ogni etica, senza scrupoli, che uccide per piacere e disinteresse morale.
Quello che dovrebbe essere un vampiro, quello che sarebbe dovuto essere ogni vampiro descritto, raccontato e filmato in questi anni, e non un eroe romantico alle prese con l’acne.
E mentre mancano pochi minuti alla conclusione dell’episodio che oltretutto consegna allo spettatore seducenti dialoghi privati tra Dracula ed Agatha, mentre ci accingiamo a descrivere anche questa puntata come un capolavoro, ecco il colpo di scena inaspettato e deludente: Dracula viene intrappolato e inabissato nelle profondità del mare, i tempi cinematografici ci fanno credere che si liberi dalle corde in men che non si dica riemergendo fiero e potente sulle coste inglesi, ma di fatto sono passati più di cento anni perché il Conte si ritrova ai nostri giorni circondato da forze armate e mitragliatori puntati su di lui.
No, non va bene.
L’imperfezione di un capolavoro
L’ultima puntata, La Bussola Oscura, si svolge quindi ai nostri giorni. Ed è un crescendo di buchi di trama uno più deludente dell’altro.
Se da una parte gli autori di Sherlock hanno confezionato spunti e temi da Oscar, dall’altra il materiale non ha avuto il tempo di crescere e di essere sviluppato come avrebbe meritato.
L’episodio risulta essere troppo frettoloso, il cambiamento dei tempi troppo repentino ed inaspettato. Il main plot rimane sempre accurato, ma lo sviluppo dei personaggi ha subìto un’accelerazione inadeguata da renderlo senza senso.
Dolly Wells non è più Agatha Van Helsing, ma una sua pro pro pro pro nipote che si chiama Zoe, malata di cancro e che intrappola Dracula per studiarne il sangue in un laboratorio: crede possa essere una cura efficace.
Di simpatico c’è che fa il suo ingresso in scena Gatiss stesso, nei panni dell’avvocato di Dracula che guarda un po’ si chiama Renfild, legale dello stesso studio di Harker e che nel romanzo viene plagiato dal conte Dracula prima che Harker stesso ne prendesse il posto.
Anche Lucy Westenra, personaggio del libro, compare in questo ultimo episodio e come succede nel libro anche qui viene trasformata in vampiro e poi muore.
Insomma, troppi elementi che avrebbero potuto essere sviluppati in una serie intera li vediamo ammassati senza senso in un’ora e mezzo o poco più.
Concitati gli ultimi minuti in cui Zoe/Agatha rivela il segreto più segretissimo di Dracula: ha paura della morte, per questo si nasconde alla società facendosi scudo con le mille leggende e i miti costruiti intorno alla sua figura.
Zoe muore per tumore poco dopo la rivelazione, Dracula ne beve il suo sangue che essendo malato lo ucciderà presto e i due chiudono la serie avvinghiati l’un l’altro in un sogno inaspettato. Tutto ciò che di buono si è visto nelle prime due puntate si scioglie come neve al sole nella terza.
La serie decresce di intensità man mano che si va verso la fine, eppure gli spunti di trama erano ben congeniali per almeno altre puntate: la sessualità del vampiro come strumento per giungere al potere e non al piacere puro e semplice, ogni teoria sulle croci, sulla fede e sulle origini di Dracula, dove sono i più cari temi toccati e magistralmente descritti da Stoker e che nell’immaginario collettivo hanno contribuito alla creazione del mito di Dracula?
Non in questa serie o almeno non nell’ultima puntata, che rimane per così dire incompleta e di fatto non perfetta.
Ed un è vero peccato.