Non è una questione di poteri. Né di bellezza o mero fascino. Il supereroe conquista il pubblico quanto più è in grado di lasciargli spazio per l’immedesimazione.
La spettacolarizzazione delle sue abilità suscita stupore, ma rimane innocua, a tal fine, in confronto alle sue debolezze, ai suoi segreti o ad un passato oscuro e losco.
Piace sempre di più il vissuto dell’eroe, ciò che prova e quanto sappia piangere piuttosto quanto sappia combattere. L’eroe è tale quando è uno di noi.
E se questa è la formula magica del successo, Steve Blackman, Gerard Way e Gabriel Ba ne sono i cultori, fautori e stregoni.
Con la seconda stagione di The Umbrella Accademy, rilasciata da Netflix il 31 luglio scorso, gli eroi disfunzionali disegnati dal cantante Gerard Way (My Chemical Romance) e ideati da Steven Blackman sfidano apertamente i colossi del genere più gettonati e fortunati del cinema.
E vincono anche il secondo round.
Né eroi né antieroi
Eroismo disfunzionale. Così viene descritto il tratto inconfondibile dei protagonisti della serie. E dei fumetti.
Prima che veri e propri eroi, Luther & Bro sono persone profondamente segnate da un passato per tutti tremendo, orribile, oscuro e purtroppo indimenticabile.
Ma se per il classico supereroe questo rappresenterebbe solo un ostacolo in più da superare affinché possa compiere bene il suo lavoro di paladino della giustizia, per i fratelli Hargreeves è motivo di demenziale depressione, fallimento ed insicurezze che li rendono umani, non super, e per questo amabili/amati dal pubblico (e dalla critica).
La seconda stagione di The Umbrella Accademy è, se vogliamo, anche più riuscita della prima. E la ricetta è tutta qui: lo spettatore riesce ad immedesimarsi sempre in questo o quel personaggio, perché le abilità soprannaturali dei protagonisti ne risaltano i difetti, non i pregi.
Ogni decisione, ogni scelta che devono affrontare, ogni situazione (a volte grottesca) che devono risolvere è frutto di una pessima gestione del proprio dono.
La (seconda) apocalisse che devono sventare in questa nuova serie è stata scatenata proprio da uno di loro, Vanya (Ellen Page, nomination all’Oscar per Juno), quando alla fine della prima stagione, per evitare una catastrofe di dimensioni universali, in realtà ne innesca un’altra ancora più tremenda.
Ma non basta: per salvare la propria famiglia dalla disfatta, Five (rimasto giovane perché ha sbagliato certi calcoli del viaggio nel tempo), decide di portare via i propri fratelli dal 2019. E salvarli.
L’idea è buona. L’esecuzione un po’ meno. Il team Hargreeves approda separatamente tra il 1960 e il 1963 a Dallas.
Disperazione? Ansia? Solitudine? No, neanche per idea. In realtà una via di fuga (finalmente). E quando ci ricapita?
Apparentemente nessuno sente la necessità di cercare e trovare gli altri membri della famiglia, anzi: tutti approfittano della situazione per fare finta di niente e dare a se stessi una seconda possibilità.
Lontano dagli altri fratelli, alleggerendosi delle responsabilità che un superpotere esige, iniziano a vivere una seconda vita, come fosse quasi un premio per aver salvato (una volta può bastare per sempre) il mondo e le sue contraddizioni.
C’è chi si è sposato (Allison), chi ha creato una sorta di setta in suo onore (Klaus) utilizzando la cultura pop come proprio “verbo”; chi si guadagna da vivere facendo incontri clandestini di pugilato (Luther); chi ha perso la memoria e vive come tata in una fattoria del Texas (Vanya); chi è stato rinchiuso in un manicomio (Diego) e tenterà di sventare l’assassinio di J. F. Kennedy.
L’intima indole di ognuno di loro li porta inevitabilmente ad essere quello che avrebbero sempre voluto essere. E ad odiare ciò che in realtà sono e che non avrebbero mai voluto diventare. Ecco l’immedesimazione, la genialità della serie, che la rende realistica in un mondo fantastico. La nuova vita è il palese e pubblico rifiuto di un superpotere mai voluto.
I nemici siamo noi
Tuttavia, se da una parte gli Hargreeves scaricano pressione e aspettative (paterne) nascondendole dietro esistenze nuove di zecca, ogni vita, vissuta nel suo tempo e nel suo spazio, porta e comporta problemi nuovi.
Volenti o nolenti il destino che si sono scelti e che accidentalmente Vanya ha consegnato a tutti, gli Hargreeves dovranno fare i conti sia con il passato (che si sono portati dietro nel tempo) sia con il futuro.
Solo il risoluto Five, un po’ per senso di colpa, un po’ perché è il primo di loro a venirlo a sapere, tenterà di riunire la famiglia perché l’apocalisse è vicina e da solo non può vincere.
Dunque nessun supervillain da sconfiggere, nessun mostriciattolo tentacoloso da uccidere, nessun anti-eroe da combattere, nessuna nemesi da annientare.
I protagonisti di The Umbrella Academy sono gli eroi e i propri nemici insieme, sono l’unico ostacolo che li separa dalla verità e dalla risoluzione, dalla realizzazione di se stessi come persone (normali) prima di tutto ed eroi nei momenti persi.
La timeline che ci consegna la serie si sviluppa in un susseguirsi di non sense in salsa grottesca condita con puntuale e costante ironia, che rende il prodotto credibile. E i personaggi reali.
Realismo ed eroismo dunque, con un pizzico di eccentricità, comicità e la disfunzionalità dei protagonisti che trasforma le puntate in frame di un unico film.
La seconda stagione va vista senza interruzioni. Aver ridotto il minutaggio delle puntate e snellito le storyline di alcuni dei protagonisti (Luther sarebbe dovuto diventare un grassone, ma l’idea era già venuta a Thor), consente di vedere un film di quasi dieci ore.
Così si apprezza l’ironia e il sarcasmo, si comprende facilmente il perfetto incastro del main plot che si sviluppa grazie alle decisioni non sempre felici dei personaggi e, come in un gioco di ruolo, si capisce dove la storia deve andare a parare, ma fino all’ultimo non si sa in che modo gli Hargreeves ci arriveranno e quali saranno le conseguenze per il futuro.
In attesa della terza stagione di The Umbrella Academy
Già, perché la via è lastricata di pericoli e sullo sfondo ci sono complicazioni non indifferenti.
L’apocalisse è vicina, dicevamo, innescata dal tentativo di sventarne già una nel finale della prima stagione; i fratelli, alla fine, accettano di aiutare Five ad impedire anche questa, ma l’America degli anni sessanta, in particolare Dallas, non vive un bel momento.
La felicità conquistata dai nostri eroi rifiutando momentaneamente di essere dei super, è minacciata da: l’assassinio di Kennedy, il razzismo e i pregiudizi sessuali, oltre che dalla Commissione, la quale, naturalmente, si metterà di mezzo in ogni modo insieme a papà Reginald Hargreeves.
Il papino tanto odiato e poco amato dai sette rivela, in questa stagione, qualcosa in più di se stesso: ossessionato dal conquistare la parte nascosta della luna, ricco (no questo lo sapevamo già), implicato forse sì o forse no nell’assassinio del presidente ed è anche un…alieno!
Nulla di nuovo visto che nel fumetto lo si capisce già a pagina tre, ma nella serie il dettaglio apre scenari e interrogativi che solo la terza stagione potrà chiarire.
Lo stesso Blackman sottolinea che avrebbe più che senso realizzare una terza stagione, ma non si hanno ancora notizie certe sul rinnovo da parte di Netflix.
Proviamo intanto ad elencare tutti gli scenari probabili: visto che l’ideatore ha ammesso che The Umbrella Academy non andrà oltre la storia raccontata dai fumetti (errore commesso per esempio con Games of Thrones), allora possiamo aspettarci questa volta un supervillain che minaccerà il mondo e il team Hargeeves che tenterò di fermarlo, oppure l’esplorazione di mondi paralleli.
Già il finale di stagione presagisce questi due elementi; infatti i sei fratelli riescono ad impedire l’apocalisse (non l’assassinio di Kennedy, non si cambia la storia) e riescono pure a tornare nel 2019, ma qualcosa non ha funzionato (di nuovo).
Felici di essere di nuovo a casa scoprono, infatti, che papà Reginald non è affatto morto come credevano, che la Umbrella è ora la Sparrow Academy e che Ben, il fratello deceduto 17 anni prima, ne è a capo.
Non solo, la Commissione, a seguito della morte di Handler, dovrebbe sventare minacce non solo alla linea temporale, ma anche a quella di altre realtà alternative.
The Umbrella Academy e l’evoluzione del supereroe
L’evoluzione del supereroe così come lo conosciamo da decenni, è ormai iniziata ed è già a buon punto. I sei Hargreeves l’hanno solo spinta più avanti.
Il cliché dei superpoteri non basta più per incollare il pubblico al tablet, al pc o allo schermo del cinema. Oggi serve altro.
Serve tornare alla normalità, a quella follia e a quella semplicità proprie di chi ha anche difetti oltre che pregi.
Gli umani. Oggi gli eroi sono gli umani. Il pubblico contemporaneo ammira di più un uomo che rifiuta il dono soprannaturale, piuttosto che esaltarne le qualità con gesta che vanno oltre le umane possibilità.
E il perché sta proprio nel fatto che quel rifiuto ricade ineluttabilmente nell’essere un umano.
The Umbrella Academy II ha, quindi, sfidato apertamente i colossi dei fumetti, vincendo il secondo round a piene mani e adesso si prepara alla battaglia finale.
Sempre che tutto vada secondo i piani… o no?