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Don’t Hug Me, I’m Scared – Critica dall’abito Creepy

Se non hai mai sentito parlare della web serie “Don’t Hug Me, I’m Scared” non preoccuparti, probabilmente sei nella fetta dei più. Tuttavia ritengo sia un prodotto degno di nota, senz’altro meritevole di essere trattato in un magazine di cinema, sebbene non sia pensato per la televisione o per i grandi schermi, ma si tratti di una webserie indipendente.

Mai approdata al grande pubblico attraverso i media convenzionali, si è ritagliata una considerevole attenzione online su YouTube, ma ancora prima era stata condivisa su sito dei suoi due creatori: Rebecca “Becky” Sloan e Joseph Pelling, graphic designer britannici.

Don’t Hug Me I’m Scared si compone di sei episodi della durata compresa tra i cinque e i dieci minuti ciascuno, usciti a distanza di diversi mesi l’uno dall’altro, in un arco di tempo che va dal 2011 al 2016.

Ogni episodio è collegato agli altri tramite sottili rimandi tematici e visivi. I tre protagonisti – che sono un pupazzo giallo, uno rosso e una papera di pezza – vengono istruiti da alcuni maestri, anch’essi antropomorfi, su un particolare argomento della vita, come l’amore, la tecnologia o il tempo, in quello che si presenta con tutte le caratteristiche tipiche di uno show per bambini sullo stampo dei Muppets o di Sesame Street.

I due autori in compagnia della loro creatura Yellow Guy.

Non sembrerebbe esserci nulla di male, dunque, se non fosse che negli ultimi minuti di ogni puntata la situazione viene stravolta e l’atmosfera, inizialmente serena, si trasforma assumendo tratti gore e orripilanti, portando alla luce la la contraddittorietà insita anche nel titolo – Don’t Hug Me, I’m Scared, tradotto Non abbracciarmi, ho paura.

Ed ecco, dunque, che dal presentarsi come uno dei tanti programmi animati per bambini ne diventa invece una parodia. È questo il vero intento degli autori, oltre al fornire interessanti spunti di riflessione su temi complessi e dibattuti.

Temi, Musica e Maestri in Don’t Hug Me I’m Scared

Parleremo, magari in maniera più approfondita, di ogni singolo episodio in una sede a parte. In questa occasione mi limiterò a tracciare delle linee guida generali della serie.

Perché nulla sembra lasciato al caso, ad iniziare dalle canzoni scelte a pennello per ogni tema trattato. Nel primo episodio il ritmo è tamburellante e allegro, poiché il tema è la creatività e il rimando alla fanciullezza è d’obbligo. Nella seconda invece, dove è il tempo ad essere l’argomento dell’insegnamento, essa è ticchettante, come a scandire il suo scorrere inesorabile. La terza puntata è piena di controcanti dolci e armoniosi, parlando dell’Amore. La quarta è quasi tecno, perché il maestro è un computer, mentre la quinta è jazz, dato che l’argomento è il cibo. Cos’altro può accompagnare i pasti se non questo genere musicale?

La sesta puntata, invece, è particolare e ancora una volta ritroviamo le contraddizioni che fanno da padrone nel titolo. Il tema è il Sogno e dunque ci si aspetterebbe una musica rilassante, pacata e delicata. Di fatto è tutt’altro: un ritmo incalzante ed ossessivo che turba i sogni ed impedisce di dormire.

I maestri che impariamo a conoscere durante le puntate seguono lo stesso processo delle canzoni. Sono i rappresentanti di ciò che devono “insegnare”. E dunque quando il tema è la creatività, il maestro sarà un blocco note da disegno, quando invece il tema è il tempo sarà ovviamente un orologio, che ci lascia l’impressione di essere un vecchietto, nel suo bel vestito distinto e nei suoi baffi a lancetta.

Quando il tema è l’Amore sarà una farfalla a parlare, perché quando si è innamorati è antonomasia riconoscere di avere le “farfalle nello stomaco”.

Quando invece il tema è la tecnologia, beh… non credo di dovervi spiegare perché ci sia un Computer ad impartire lezioni!

Nel parlare di Cibo ecco che si animano una bistecca di carne rossa e una lattina di cibo preconfezionato, rappresentanti di una categoria di alimenti non propriamente salutare. Trovate contraddizioni? Beh, nel sesto episodio, quando si trattano i Sogni, ad animarsi è un abat jour, una lampada da comodino che resta accesa impedendo il sonno.

Ma chi sono questi maestri? E soprattutto…a chi devono insegnare?

I tre protagonisti

La mini serie è criptica e si rende ancora più misteriosa con l’avanzare delle puntate. In conseguenza di questo, online sono proliferate svariate teorie fatte dai fan e mai – sottolineo il mai – confermate dagli autori. Questa è una triste ma davvero stuzzicante verità: Becky Sloan e Joseph Pelling non hanno mai avvalorato una teoria del web, né fornito una spiegazione in merito alla loro opera. Ogni interpretazione resta, perciò, valida, per loro stessa ammissione.

joseph e becky

Le teorie più interessanti riguardano proprio l’identità dei tre protagonisti di Don’t Hug Me I’m Scared, unica costante – se si escludono i vari easter egg – di tutti gli episodi della serie.

Pensare in modo semplicistico che siano soltanto “un pubblico”, qualcosa di casuale inserito come semplice prolungamento dello spettatore, non basta a molti fan e men che meno a noi. Dunque occorre analizzare meglio i comportamenti di ognuno di loro.

Il pupazzo giallo – che da ora chiameremo Yellow Guy, come internet vuole – sembra essere dei tre il più intraprendente e curioso. Fa domande, è il più creativo, risulta ammirato quando scopre qualcosa di nuovo – lo vediamo spesso a bocca aperta – e nel vestiario appare molto casual. Questi elementi potrebbero fare di lui la rappresentazione di una condizione di fanciullezza e innocenza tipica dei bambini?

Allo stesso tempo il papero verde – che da ora chiameremo Duck, come il fandom vuole – appare come il più scettico e razionale dei tre e lo vediamo spesso dondolarsi su una sedia a dondolo con un orologio da taschino e un completo di pelle marrone. Tutti elementi, questi, che in qualche modo nel senso comune sono associati ad una condizione di anzianità.

Infine il pupazzo rosso Red Guy da adesso in poi – è il più distaccato, costantemente con un’espressione e una voce apatica, quasi annoiata. È però colui che prova a mettere in difficoltà i maestri con domande e costatazioni in controtendenza all’insegnamento. Un comportamento, questo, che possiamo riconoscere nella maggior parte degli adolescenti/giovani adulti.

Ma se allora Yellow Guy è un Bambino, Red Guy è un Adolescente e Duck un Adulto, la metafora della serie è semplice da intuire!

Poiché il tema comune degli episodi di Don’t Hug Me I’m Scared sono i media e, più in senso lato, il modo in cui vengono da essi trasmessi i messaggi, gli autori si stanno servendo dei tre pupazzi come esempi campione di ogni categoria.

Il messaggio è questo: i media parlano a tutte le tipologie di persone, ma il modo in cui i messaggi vengono recepiti e interpretati cambia a seconda di età e personalità.

L’inizio dell’analisi di Don’t Hug Me, I’m Scared

Dopo aver dato delle linee guida per poter interpretare l’opera nel suo complesso, nel prossimo articlo analizzeremo il primo episodio.

Nel frattempo, non mi resta che consigliarvi questa singolare serie, della quale trovate il link qui sotto.

Buona visione!

Valerio Cioccolini
Valerio Cioccolini
Vi piacciono le serie tv? Andremo d'accordo. Non vi piacciono? Beh...andremo d'accordo ugualmente.

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