The Danish Girl trae la propria forza espressiva sia nel delicato tema che affronta, il film è infatti ispirato alla storia di Einar Wegener, transgender danese d’inizio Novecento, ovvero la prima persona a essere identificata come transessuale e a essersi sottoposta a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale con il nome di Lili Elbe, ma soprattutto nella peculiarità di aver ricavato il proprio materiale narrativo non da fonti originali (diari, epistolari e quant’altro), ma da una versione romanzata della vicenda di Einar/Lili realizzata da David Ebershoff nel 2000.
Il romanzo, molto bello, è il necessario pilastro del capolavoro cinematografico che è stato, poi, realizzato dal regista Tom Hooper.
Dopo l’Oscar per La teoria del tutto, Eddie Redmayne viene qui scelto per un altro ruolo di conflitto con le limitazioni del corpo, che possono essere fisiche ma anche e soprattutto mentali e psicologiche, nonché sociali di appartenenza, che sfociano in fobie, paure e soprattutto in una drammatica emarginazione.
Un’ interpretazione elegante, raffinata e sconvolgente che mostra nuovamente in tutta la loro intensità, le capacità artistiche, nonché recitative, del noto attore.
Una difficile ri-scoperta del proprio sé
Nella Copenaghen d’inizio Novecento, il giovane pittore Einar Wegener inizia per gioco a vestirsi da donna posando per i ritratti della moglie Gerda: gli abiti femminili gli danno un senso di comfort e appartenenza mai provato prima.
Dalle scene ricche di dolcezza e romanticismo si evince fin da subito la proficua collaborazione e intensa complicità che lega i due pittori; ciò sarà importante durante lo svolgersi della vicenda, nel lungo percorso emotivo ed emozionale che rivoluzionerà la vita e la realtà del protagonista.
Essere se stessi senza paura
A poco a poco Einar riscopre così la sua rimossa identità di genere, rendendosi conto di essere una donna confinata nel corpo di un uomo, dando vita a Lili, suo alter ego attraverso la quale si inizia a mostrare al mondo con una straordinaria credibilità femminile ma, al contempo, inizia per lui un calvario tra consapevolezza, rifiuto di sé, consulti medici e minacce manicomiali, senza rinunciare mai al sogno del cambio di sesso.
Le scene vibranti comunicano pienamente questo dolore interiore, questa consapevolezza sconvolgente, l’equilibrio perduto, la sensibilità di un animo ferito che cerca di riconciliarsi con se stesso e con un mondo che non lo accetta, trovando un’insperata ancora di salvezza nel mare in tempesta: la moglie, che continuerà ad amarlo fino alla fine, in un atto di amore e comprensione senza precedenti.
The Danish Girl: l’inizio di una rivoluzione anche medica
Solo l’incontro con un futuribile chirurgo, il dottor Warnekros, fa intravedere ad Einar la possibilità – fino a quel momento impensabile – del cambio di sesso. Egli dona al protagonista uno spiraglio di serenità, la speranza di potersi sentire finalmente se stesso e di mostrarsi al mondo per ciò che realmente è.
Questo è, a mio avviso, l’insegnamento più importante del film, che mi sento di evidenziare ulteriormente, nella speranza che tutti possano avere il coraggio nonché la libertà di potersi esprimere, senza discriminazione di alcun tipo, in una società che veda nelle diversità un punto di forza.
Sostenuto allora dalla moglie, che ormai è divenuta una tenera compagna, e dall’amico Hans, Einar diventa quindi Lili, ma purtroppo i mezzi di cent’anni fa non sono quelli attuali.
E troviamo, quindi, un finale struggente, commovente e duro, ma al contempo delicato e tenero, che ha per protagoniste “lacrime di gioia”.
Senza l’intervento dall’esito sfortunato, Einar si sarebbe comunque suicidato, mentre si apre così uno spiraglio nel mondo della medicina per coloro che mostrano il desiderio di liberare la loro anima da un corpo che non sentono appartenergli.
Considerazioni finali sul film
The Danish Girl è un film che attraverso la bellezza dell’arte, intreccia, crea e rivoluziona legami, emozioni e realtà. Tocca e sconvolge i sensi, l’animo stesso, ci obbliga ad emozionarci e ci fa riflettere.
Ho trovato davvero toccante e sconvolgente l’amore incondizionato di Gerda nell’accettare la trasformazione del marito, e nel non tirarsi indietro di fronte alla sofferenza dell’uomo che ama.
Un amore che trascende le convenzioni e ciò che viene considerato consueto e che abbraccia il cambiamento con forza e coraggio.
Sconvolgente anche il dolore e la conseguente rivoluzione nella vita della donna, che in un certo senso perde il marito, almeno per come era abituata a vederlo e conoscerlo e scopre un’altra persona con la quale si crea un legame altrettanto forte che sorregge Einar, ormai Lili, in un percorso tortuoso quanto fragile e franabile.
Bravissima Alicia Vikander nel dare vita ad un personaggio complesso, malinconico e ricco di sfumature, che ,non a caso, le è valso la statuetta come Miglior Attrice Non Protagonista.
C’è tanta consapevolezza e garbo nell’affrontare il tema, non facile, dell’identità di genere.
Sia il ruolo della donna che quello dell’uomo vengono descritti con rispetto, senza decadere nella retorica, e altrettanto bene la regia sottolinea questo passaggio dall’uno all’altro, la metamorfosi, con giochi di luce e costumi che ne enfatizzano ed esaltano la bellezza.
“Questa è una storia d’amore, sull’autenticità, sull’identità. Sul coraggio che serve per trovare se stessi, per essere se stessi”.
Eddie Redmayne