Sense8 e Cloud Atlas, due opere sorelle, come sorelle sono coloro che le hanno dirette e sceneggiate: Lana e Lilly Wachowski.
Le Wachoski sono quello che si dice due artiste avanti per il proprio tempo e ciò indipendentemente dalla loro transizione di genere, che è e resta un fatto privato.
Dopo aver diretto due film iconici e “di rottura” come Matrix (del 1999, al quale hanno fatto seguito tre sequel, l’ultimo in uscita) e V per Vendetta (del 2005), le cui influenze culturali sono andate ben oltre il grande schermo (un esempio fra tutti, quello degli Anonymous), le Wachowski hanno superato il messaggio anarchico che trapela in queste due produzioni, trasformando la lotta contro il sistema in (auto)consapevolezza dell’essere umano, oltre e a prescindere dal sistema stesso.
Mentre quest’ultimo tende ad incasellare gli individui e a classificarli secondo schemi rigidi, l’umanità immaginata e raccontata dalle Wachowski è una collettività fluida, in costante evoluzione e contaminazione.
Il critico cinematografico Andrea Fornasiero si è così espresso relativamente al film Cloud Atlas (2012) e alla serie tv Sense8
(2015-2018):
«Se in Cloud Atlas il legame tra le persone si dipana nel tempo, con gli stessi attori in più parti e situazioni radicalmente diverse, in Sense8 la connessione supera le barriere dello spazio».
Tempo e spazio, infatti, non sono visti come ostacoli insormontabili, bensì come ponti, dimensioni percorribili in più direzioni, in grado di connettere le anime attraverso i secoli, i chilometri, gli anni luce.
Cloud Atlas, trasposizione dell’omonimo romanzo di David Mitchell, racconta sei storie ambientate in luoghi ed epoche differenti, ma collegate le une alle altre.
Si tratta, infatti, del viaggio di alcune anime, indissolubilmente legate fra di loro, attraverso diverse vite. Quello della reincarnazione è un tema affascinante, che ricorre in diverse dottrine e pensieri filosofici: da Pitagora a Platone, dal buddhismo e dall’induismo fino alle più recenti filosofie new age.
In Sense8, invece, abbiamo otto sconosciuti che si trovano in varie parti del mondo, i quali all’improvviso scoprono di essere collegati telepaticamente l’uno all’altro ed uniscono le forze per cercare di capire cosa sta loro succedendo.
Due format differenti – lungometraggio e narrazione seriale – per due storie che, sebbene diverse, hanno molto in comune a livello di tematiche e di impostazione teorica.
Entrambe le opere, infatti, sembrano volerci dire che noi siamo di più di quel che appare e che tempo e spazio, spesso percepiti come avversi, sono, in realtà, ciò che ci unisce gli uni agli altri.
Ogni azione, quindi, anche la più piccola ed apparentemente priva di significato, si ripercuote su altri esseri umani, vicini o distanti, presenti o futuri.
Sia il film che la serie tv portano alle estreme conseguenze la teoria dell’effetto farfalla, derivata dalla fisica e dalla teoria del caos, ma ripresa anche in filosofia e psicologia.
Un altro tema portante è quello della diversità: quest’ultima in Cloud Atlas è messa particolarmente in luce dai personaggi dello schiavo nero fuggitivo del 1800, dalla coppia omosessuale degli anni ’30, dalla giovane clone Sonmi nel 2144 e dall’inconsueto rapporto tra il “primitivo” Zachry e la “tecnlogicamente avanzata” Meronyma nel 2321.
Sense8 sviluppa ulteriormente questa riflessione dato che, degli otto “sensitivi” appartenenti alla cerchia, nessuno è uguale all’altro in termini di etnia, provenienza, background socio-culturale o inclinazioni sessuali.
C’è Will, poliziotto di Chicago; Wolfgang criminale di Berlino; Kala, giovane scienziata indiana; Nomi, hacker transegender di San Francisco; Capheus, autista di autobus a Nairobi; Riley, dj islandese, trasferitasi a Londra; Lito, attore omosessuale residente a Città del Messico; Sun, donna d’affari di Seul, esperta in arti marziali.
In particolare, l’attrice che interpreta Sun, la sud coreana Bae Doo-na, costituisce una sorta di “ponte” fra le due opere, essendo anche corpo e voce di una delle anime in Cloud Atlas.
Entrambi i suoi ruoli nelle due produzioni si distinguono per coraggio e senso di giustizia ed il suo viso, deciso e, al contempo, delicato, si presta bene ai personaggi affidatile.
Collegato al discorso del tempo e dello spazio, ma anche a quello relativo alla diversità, vi è l’amore: motore trainante dell’agire umano.
Può essere l’amore nei confronti di un amico, di un genitore per il figlio, di una persona verso il proprio lavoro – o di un ideale – oppure l’amore tradizionalmente inteso, ossia quello romantico.
L’amore, in quanto forza travolgente, mal si presta a dettami o classificazioni, né conosce ostacoli che non siano superabili, neanche quello, apparentemente definitivo, della morte.
L’Amore, da solo, è in grado di sovvertire le regole, è lui che unisce le anime al di là del tempo e dello spazio.
Lo sanno Will (statunitense) e Riley Blue (islandese); Kala (indiana) e Wolfgang (tedesco) che, nonostante i molti chilometri che li separano, sperimentano una connessione profonda; ma anche le anime interpretate da Tom Hanks e Halle Berry, Jim Sturgess e Bae Doo-na in Cloud Atlas, vita dopo vita, nel loro ritrovarsi, riconoscersi e ricongiungersi.
L’esistenza umana è un viaggio spaventoso e bellissimo al tempo stesso, per questo dovremmo essere gentili con gli altri viaggiatori incontrati lungo la via; ognuno con la propria personalità e il proprio zaino di esperienze, sempre diverso.
Ma la diversità non è un pericolo, è una ricchezza. Basta saper guardare con gli occhi giusti. Quelli dell’amore.
Fortuna che per ricordarlo ci sono opere come Sense8 e Cloud Atlas.
Grazie per la splendida recensione. Incredibile quanti dettagli possano sfuggire agli spettatori profani e quanto lavoro di studio e ricerca possa esserci dietro a prodotti cinematografici come questi. Grazie per avercelo fatto capire in modo così professionale e comprensibile